Con la sentenza della sezione II della Corte Suprema di Cassazione (penale), n. 35204 del 9 ottobre 2020, la Corte precisa la ripartizione dell’onere probatorio ai fini dell’accertamento di una causa di giustificazione e ritorna sull’annoso dibattito inerente l’applicabilità dell’esimente dello stato di necessità in caso di occupazione abusiva di un alloggio.
Nel caso di specie, due donne, condannate dal Giudice circondariale di Messina per occupazione abusiva di un alloggio dell’I.A.C.P., avevano interposto appello, allegando di avere occupato l’immobile all’indomani di uno sfratto per morosità, anche per tutelare una minore, con loro convivente, affetta da gravi problemi di salute.
La Corte di appello, nel disattendere il motivo, affermava che le imputate non avevano compiutamente documentato il ricorrere delle condizioni per la configurabilità dell’invocata causa di giustificazione.
Tuttavia per i Giudici di legittimità l’assunto della Corte distrettuale viola le regole in tema di onus probandi. Vi è invero che “ai fini della configurazione di una causa di giustificazione, l’imputato è gravato da un mero onere di allegazione, essendo tenuto a fornire all’ufficio le indicazioni e gli elementi necessari all’accertamento di fatti e circostanze altrimenti ignoti che siano in astratto idonei, ove riscontrati, a configurare in concreto la causa di giustificazione invocata; ove tale onere di allegazione sia positivamente adempiuto dall’imputato, l’onere di dimostrare la non configurabilità della causa di giustificazione invocata grava sulla parte pubblica e, nei casi in cui residui il dubbio sull’esistenza di essa, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato”.
Non è poi ozioso osservare che per la Corte, nel caso di specie, potrebbe ricorrere la causa di giustificazione dello stato di necessità, ex art. 54 c.p., poiché nella nozione di “danno grave alla persona” possono farsi rientrare anche alcune situazioni che, pur non minacciando direttamente l’integrità fisica dell’agente, “attentano alla complessa sfera dei beni attinenti alla personalità morale di esso, tra le quali ben possono rientrare anche quelle connesse all’esigenza di ottenere un alloggio”.
E tuttavia, la Corte ha rimarcato che “una tale interpretazione estensiva del concetto di “danno grave alla persona” … impone una attenta e penetrante indagine, diretta a circoscrivere la sfera di azione della causa di giustificazione ai soli casi in cui siano indiscutibilmente presenti gli altri elementi costitutivi della stessa, quali i requisiti della necessità della condotta antigiuridica e della inevitabilità del pericolo”. Da ciò deriva “che l’abusiva occupazione di un bene immobile può risultare scriminata dallo stato di necessità conseguente al pericolo di danno grave alla persona, sempre che ricorrano, per tutto il tempo dell’illecita occupazione, gli altri elementi costitutivi della scriminante, quali l’assoluta necessità della condotta e l’inevitabilità del pericolo”.
In altri termini, la Corte regolatrice ha ritenuto di dover dare continuità all’arresto giurisprudenziale secondo cui la condotta dell’agente non può essere ex se giustificata “con l’esigenza … di reperire un alloggio e risolvere i propri problemi abitativi” (Sez. 2, sentenza n. 4292 del 21 dicembre 2011, dep. 2012, Rv. 251800, Sez. 2, sentenza n. 10694 del 30 ottobre 2019, dep. 2020, Rv. 278520).
Epperò, anche lì dove lo stato di necessità fosse sussistito soltanto in fase genetica, il Giudice del merito dovrebbe comunque accertarne la ricorrenza e il tempo dell’avvenuta cessazione, dovendo tenerne conto “agli effetti della commisurazione del complessivo trattamento sanzionatorio”.
Pur apprezzando le precisazioni in tema di ripartizione dell’onore probatorio e le caute aperture in tema di ricorrenza del reato di occupazione abusiva, sembra restare irrisolto un nodo posto dalla littera legis, a mente della quale l’occupazione è un fine del delitto di invasione e non la condotta che integra il reato o lo protrae.
A margine, si rileva che sebbene i ricorsi siano stati accolti con conseguente annullamento con rinvio della sentenza impugnata, la parte pubblica aveva invocato la declaratoria di inammissibilità delle impugnazioni.