Risarcita la moglie umiliata e maltrattata dal marito.
Sentenza della Corte di Cassazione n.6074/2021
Per la Cassazione è corretto riconoscere alla moglie vittima di umiliazioni, percosse e violenze, un risarcimento di 15mila euro per quanto subito dal marito
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 6074/2021 conferma la responsabilità del marito per i reati di maltrattamenti e lesioni ai danni della moglie e la somma riconosciuta alla vittima, costituitasi parte civile nel giudizio penale, a cui è stato riconosciuto un risarcimento del danno di 15 mila euro per anni di offese, umiliazioni e percosse.
Decisione che convalida quella della Corte d’Appello, che a sua volta, ha confermato la sentenza di condanna di primo grado per i reati di maltrattamenti e lesioni aggravate commessi dall’imputato ai danni della moglie convivente, costituitasi parte civile nel giudizio penale.
Verdetto che l’imputato impugna davanti alla Corte di Cassazione sollevando diversi motivi di doglianza.
Con il primo rileva che ai fini del giudizio di responsabilità la Corte d’Appello ha omesso di considerare diversi aspetti della vicenda come la versione dei fatti fornita dalla persona offesa sul regime di vita imposto dal merito; il valore delle testimonianze de relato di amiche, insegnanti e operatrici sociali; le cause dei litigi e il contesto in cui sono sorti e sviluppati; la condotta “oppressiva, prevaricatoria e abituale” oggetto di contestazione; il fatto che in ogni caso la moglie non ha mai posto fine alla convivenza; il lungo tempo intercorso tra i fatti e la denuncia; la sussistenza dell’elemento soggettivo dei reati di lesioni e maltrattamenti, senza dimenticare le risultanze medico legali.
Con il secondo evidenzia invece come, dalle deposizioni della moglie emerga in realtà una situazione di assoluta parità e non di sudditanza.
Con il terzo contesta il giudizio della Corte sullo scarso peso attribuito alle testimonianze della difesa.
Con il quarto contesta la quantificazione del risarcimento del danno riconosciuto in favore della moglie stante l’assenza di una valutazione sull’intensità della violazione della libertà morale e fisica, del turbamento psichico cagionato alla stessa e delle conseguenze subite sul piano psicologico individuale e sul piano dei rapporti inter-soggettivi.
La Corte di Cassazione però dichiara il ricorso inammissibile, in quanto in relazione ai primi tre motivi sollevati, l’imputato mette in discussione questioni di fatto già risolte dalla Corte d’Appello in base a un ragionamento corretto dal punto di vista logico e giuridico.
La Corte d’Appello, nel confermare la penale responsabilità dell’imputato per lesioni e maltrattamenti, ha escluso la natura ritorsiva o dettata da ragioni meramente economiche delle accuse della moglie, così come non ha dato correttamente rilievo alla natura ambivalente della sua condotta, compatibile con un atteggiamento di soggezione nei confronti del marito, che all’epoca dei fatti apparteneva alle Forze Armate e con la narrazione di sentimenti di afflizione, umiliazione e violenza.
Le dichiarazioni della donna sono state ritenute dalla Corte logiche e coerenti, anche se la stessa ha dimostrato di provare ancora un importante turbamento emotivo nel ripercorrere le vicende vissute nel rapporto coniugale.
La Corte ha inoltre ritenuto il contenuto delle registrazioni prodotte dall’imputato e dalle quali emerge una certa aggressività verbale della vittima, perfettamente compatibili con lo stato di soggezione tipico delle vittime di maltrattamenti anche perché non è possibile individuare il contesto in cui tali espressioni sono state pronunciate. Non si deve dimenticare poi la dinamica familiare in cui la vicenda si inserisce, caratterizzata dalla presenza di un marito percepito come superiore economicamente e culturalmente e in grado di farle perdere i figli.
Registrazioni effettuate comunque quando il conflitto era già accesso e in una situazione in cui la moglie, nutrendo il sospetto di essere registrata, accusava il marito di esercitare nei suoi confronti violenza psicologica.
Ritenuti correttamente inattendibili invece i testi della difesa, in quanto le dichiarazioni risultano finalizzare a mettere in evidenza l’attaccamento della donna ai figli e il rapporto di conflittualità esistente con la suocera.
Del resto, il giudizio di primo grado ha accertato il “comportamento vessatorio dell’imputato nei confronti della moglie consistito in continue umiliazioni verbali, schiaffi percosse, costrizioni a rapporti sessuali non voluti, lancio di oggetti anche davanti ai figli minori e fino alla privazione della disponibilità delle proprie ricorse economiche e costretta a rimanere in casa, o al contrario, a uscire contro la sua volontà.” Parimenti provate le lesioni in quanto le dichiarazioni della donna risultano confermate dall’accertamento medico legale.
Inammissibile anche il quarto motivo, con cui l’imputato contesta l’entità del risarcimento riconosciuto alla moglie. I 15 mila euro riconosciuti sono idonei a riparare il lamentato “danno non patrimoniale sulla base dell’entità del patimento sofferto dalla vittima nei molti anni in cui è stata sottoposta ad un clima di violenza e sopraffazione, essendo umiliata anche in presenza di figli minori, tanto da doversi rivolgere a specialisti per seguire un percorso psicologico.”