Il reato di Minaccia (art. 612 codice penale). Dottrina e giurisprudenza.

  1. Nozione, natura ed oggetto giuridico del reato.

Il delitto punito dall’art. 612 consiste nel fatto di chiunque minaccia ad altri un danno ingiusto.

Si discute circa l’oggetto giuridico della tutela apprestata dalla norma.

La dottrina dominante e la giurisprudenza ritengono che oggetto della tutela giuridica è la libertà di autodeterminarsi del soggetto (MANZINI (947), G.D. • PISAPIA (948), G. VASSALLI (949), VIARO (950)).

Ritiene, invece, ANTOLISEI (951) che se non può negarsi che un quid di vero vi è nella tesi dominante, da un esame più attento delle norme, si deduce che ciò che effettivamente e direttamente viene offeso dal fatto della minaccia è la tranquillità individuale, per cui è tale tranquillità il vero oggetto della tutela giuridica nel delitto in esame.

Una tesi intermedia è sostenuta dal DASSANO (952), che ha tentato di conciliare le due teorie sostenendo che l’offesa della tranquillità individuale costituirebbe una forma particolare di violazione della libertà morale.

Per il MEZZETT1 (953), infine, il delitto di minaccia protegge in modo diretto la cd. «libertà interna», e cioè la libertà psichica, di pensiero e di coscienza, e solo in maniera indiretta la libertà di autodeterminazione e di azione.

Come la violenza privata, anche la minaccia costituisce una figura di delitto generico e sussidiario e ricorre come figura autonoma solo quando il fatto della «minaccia» non è specificamente previsto come elemento costitutivo o circostanza aggravante di altro reato (esempio: art. 338).

Dal delitto di cui all’art. 610 il reato, in esame si distingue in quanto qui la minaccia è fine a se stessa, non è diretta cioè a costringere il soggetto passivo a fare, tollerare od omettere qualcosa.

Proprio perché la minaccia è elemento costitutivo eventuale del delitto di violenza privata, il reato di violenza privata commessa mediante minaccia assorbe in sè quello di minaccia.

  1. B) Elemento oggettivo
  2. a) Contenuto della minaccia

L’elemento oggettivo del reato di minaccia consiste nel prospettare ad un individuo un male futuro il cui avverarsi dipende dalla volontà dell’agente.        

(947)   Cfr. MANZINI: Op. cit., pag. 803.

(948)   Cfr. G.D. PISAPIA: Violenza, minaccia e inganno nel diritto penale, Napoli 1940, pag. 113 e segg.

(949)   Cfr. G. VASSALLI: Il diritto alla libertà morale (Contributo alla teoria dei diritti della personalità), in Studi giuridici in memoria di Filippo Vassalli, Voi. IX, Torino I960, pag. 1692 e segg.

(950)   Cfr. VIARO: Op. cit., pag. 972. –         –

(951)   Cfr. ANTOLISEI: Op. cit., pag. 122.

(952)   Cfr. DASSANO: Minaccia (diritto penale), in Enciclopedia del diritto, Voi. XXVI, Milano 1976, pag. 334 e segg.; in particolare: pag. 335.

(953)   Cfr. MEZZETTI: Op. cit., pag. 283.

Essa, quindi, va tenuta distinta da quei fatti che, pur configurandosi in forma di minaccia, consistono invece semplicemente in imprecazioni («che Dio ti fulmini», «devi crepare>, «ti venga un accidenti» e simili) o insulti.

Per l’attuazione del reato è sufficiente un qualsiasi mezzo o comportamento idoneo ad incutere timore, a suscitare in altri la preoccupazione di soffrire un male ingiusto o che comunque offenda o diminuisca l’altrui libertà morale (954).

Sono irrilevanti sia le forme che i mezzi attraverso cui la minaccia viene portata e, dunque, il fatto può essere commesso con parole, con scritti o con gesti, in modo espresso o tacito, in maniera diretta o indiretta; quel che è necessario, però, in ogni caso è che la minaccia sia idonea ad intimidire la vittima.

Secondo la dottrina dominante (ANTOLISEI, MANZINI, VIARO, GARAVELLI (955)) e la giurisprudenza (956) consolidata l’idoneità intimidatrice della condotta dell’agente va valutata ex ante, indipendentemente, cioè, dall’effettivo verificarsi in concreto della turbativa: la minaccia, infatti, è reato formale di pericolo, per cui è sufficiente che la condotta sia idonea a produrre tale risultato.

Ritiene, invece, più giustamente il MEZZETTI (957) che tale accertamento non può essere condotto totalmente ex ante, non potendosi prescindere né dalla concreta percezione della minaccia da parte del destinatario della stessa né dal fatto che, in concreto, la vittima l’abbia «presa sul serio”, per cui della sua idoneità intimidatrice va giudicato anche dal punto di vista della vittima.

  1. b) In particolare: la minaccia condizionata

Discusso è il problema se la formulazione della minaccia in modo condizionato integri o meno il reato in esame.

La dottrina (ANTOLISEI, MANZINI, GARAVELLI (958)) la ritiene ammissibile, a condizione che non sia diretta ad ottenere immediatamente un certo comportamento dalla vittima, nel qual caso configurerebbe il delitto di violenza privata, consumato o tentato. Anche la giurisprudenza è orientata nello stesso senso e ritiene, dunque, che la minaccia sussista anche quando la frase intimidatoria sia pronunciata in forma condizionata, salvo sia ravvisabile un diverso reato, come

la violenza privata (959).

(954) Cass. 5-10-1982, n. 8627 e Cass. 12-1-2004, n. 556, riportata in Giurisprudenza, al n.13.

(955)   Cfr. ANTOLISEI: Op. cit., pag. 123; MANZINI: Op. cit., pag. 810; VIARO: Cip. cit., pag. 972; GARAVELLI: Op. cit., pag. 602.

(956)   Così Cass. 23-7-1992, n. 8264; Cass. 23-12-1999, n. 14628, riportata in «Giurisprudenza”, al n. 11 nonché Cass. 24-8-2001, n. 31693.

(957)   Cfr. MEZZETTI: Op. cit., pag. 285.

(958)   Cfr. ANTOLISEI: Op. cit., pag. 123; MANZINI: Op. cit., pag. 809; GARAVELLI: Op. cit., pag. 603.

(959)   Così Cass. 3-5-1973, n. 3338.

Si è, tuttavia, giustamente precisato che non costituisce minaccia l’intimidazione fatta in via condizionata quando essa è rivolta non già a restringere la libertà psichica del minacciato, bensì a prevenire un’azione del medesimo, rappresentandogli — tempestivamente —quale reazione il suo eventuale comportamento futuro (960).

  1. c) Presenza del soggetto passivo

Ai fini della sussistenza del reato di minaccia non è necessaria la presenza del soggetto passivo: basta che costui ne venga a conoscenza aliunde, a condizione però che la comunicazione del terzo sia stata attuata per specifica volontà dell’agente.

  1. d) Oggetto della minaccia: il danno ingiusto; il problema della minaccia indeterminata.

Oggetto della minaccia deve essere un danno ingiusto.

Per danno si deve intendere qualsiasi lesione o violazione di un bene o interesse facente capo all’individuo.

Tale danno deve essere ingiusto: tale è ogni lesione di un interesse giuridicamente rilevante che sia contraria alla legge (cd. contra ius) o perché obiettivamente illecita (esempio: minaccia di morte) oppure perché utilizzata per perseguire scopi diversi da quelli consentiti dalla legge (si pensi alla minaccia di adire le vie giudiziali per un fatto realmente accaduto, ma nell’ipotesi di rifiuto di una proposta matrimoniale).

Non costituisce, invece, «danno ingiusto» la minaccia di far valere un proprio diritto, come, ad esempio, l’espressione «adesso vado a denunciarvi», quando consista in una semplice manifestazione di intenzione e non sia rivolta ad altri fini (961); a soluzione diversa, ovviamente, deve pervenirsi quando la prospettazione di far valere un proprio diritto venga minacciata per ragioni diverse da quelle per le quali la facoltà di agire è concessa o per motivi comunque illeciti ovvero contrari al buon costume (così ANTOLISEI (962) e DASSANO (963) e la giurisprudenza consolidata (964). Si discute sulla configurabilità del reato in caso di minaccia di un danno indeterminato.

Per alcuni (ANTOLISEI (965)) il reato sussiste in quanto realizza comunque un turbamento d’animo della vittima. Altri (MANZINI (966)), configurando tale tipo di minaccia come una semplice manifestazione di personale avversione nei confronti della vittima, la ritengono penalmente irrilevante. Tuttavia, che il problema debba essere risolto caso per caso, alla luce dell’effettiva efficacia intimidatrice di un tale tipo di minaccia nel singolo caso concreto.

(960)   Così Cass. 5-4-1997, n. 3186, riportata in «Giurisprudenza», al n. 9.

(961)   Così Cass. 7-5-1980, n. 5774.

(962)   Cfr. ANTOLISEI: Op. cit., pag. 124 e seg.

(963)   Cfr. DASSANO: Op. cit., pag. 339

(964)   Così, tra le più recenti, Cass. 6-2-2004, n. 4633 e Cass. 8-3-2006, n. 8251, riportate in Giurisprudenza, ai nn. 14 e 16.

(965)   Cfr. ANTOLISEI: Op. cit., pag. 124      ‘

(966)   Cfr. MANZINI: Op. cit., pag. 814.

  1. e) Segue: il problema del danno impossibile

Discusso è il problema se l’impossibilità di realizzazione del danno minacciato integri o meno il reato in esame.

ANTOLISEI (967) sostiene che anche un danno in sé fantastico può dar luogo al reato se la persona offesa è sensibile a particolari suggestioni (esempio: stregoneria, superstizione etc.) e di ciò l’agente sia a conoscenza.

La giurisprudenza, invece, fedele alla tesi secondo cui dell’idoneità intimidatrice della minaccia si giudica ex ante, senza alcun riferimento al fatto che essa in concreto, abbia o meno creato turbamento nella vittima esclude il reato di minaccia nel caso in cui l’intimidazione abbia per oggetto un danno impossibile ad avverarsi, occorrendo pur sempre, per la perfezione del reato, la verosimile supposizione che il danno minacciato possa essere inflitto (968).

  1. C) Elemento soggettivo

Elemento soggettivo del reato di minaccia è il dolo generico, ossia la coscienza e la volontà di minacciare un danno ingiusto. II dolo è escluso dall’erronea, giustificata supposizione della liceità del danno minacciato, in quanto l’agente deve avere la consapevolezza dell’illiceità del danno (ANTOLISEI, MANTOVANI, MEZZETTI) (969). Secondo la giurisprudenza l’’animus iocandi non esclude il dolo e, quindi, il reato (970).

Anche a tale riguardo, però, si ritiene: che il problema vada risolto in concreto e caso per caso, per cui se la minaccia, anche apparentemente grave e quindi procedibile d’ufficio, venga fatta in un contesto scherzoso tale da toglierle qualsiasi efficacia intimidatrice, deve ritenersi che il fatto non sussiste. e, quindi, più che il dolo viene meno la tipicità del delitto in esame.

Il criterio distintivo tra il delitto di minacce e quello di violenza privata, previsto dall’art. 610, non risiede nella materialità del fatto, che può essere identico in ciascuna delle due fattispecie, ma va individuato appunto nell’elemento intenzionale, in quanto mentre per la sussistenza della minaccia è sufficiente che l’agente eserciti genericamente un’azione intimidatoria, trattandosi di reato formale con evento di pericolo immanente nella stessa azione, la violenza privata, invece, presenta sotto il profilo soggettivo un quid pluris, essendo la minaccia diretta a costringere taluno a fare, tollerare od omettere qualcosa, con evento di danno costituito dall’essersi l’altrui volontà estrinsecata in un comportamento coartante (972).

(967)   Cfr. ANTOLISEI: Op. cit., pag. 124.

(968)   Così Cass. 18-2-1963, in Giustizia penale, 1964, II, pag. 237.

(969)   Cfr. ANTOLISEI: Op. cit., pèag. 125; MANTOVANI: Op. cit., pag. 403; MEZZETTE Op. cit., pag. 286.

(970)   Così Cass. 27-5-1981, n. 4957.

(971)   Si veda la lettera D de) precedente §2.

  1. D) Consumazione e tentativo

Il delitto si consuma con la percezione da parte della vittima della minaccia.

Si discute se si tratti di delitto formale di pericolo ovvero di reato di evento e la soluzione data a tale quesito incide direttamente sulla individuazione del momento consumativo del delitto, e sulla configurabilità o meno del tentativo.

Per ANTOLISEI (973), MANTOVANI (974) e VIARO (975) il delitto si consuma con la percezione della minaccia da parte della vittima, non occorrendo anche che la stessa subisca un’effettiva intimidazione.

Per MEZZETTI (976), invece, si tratta di un reato di evento, per cui esso si consuma nel momento dell’effettiva intimidazione della vittima; tale ultima teoria, come già rilevato, appare senz’altro preferibile.

La connotazione in termini di reato di pericolo della fattispecie in esame rende problematica la configurabilità del tentativo perché espone al rischio di punire «il pericolo del pericolo»; a ciò si aggiunga che la perseguibilità a querela di parte rende difficile l’ammissibilità del tentativo in quanto presuppone che il soggetto passivo sia venuto a conoscenza della minaccia: ma così il reato è già consumato.

Ne consegue che gli autori che propendono per il delitto formale di pericolo o escludono senz’altro la configurabilità del tentativo (così MANTOVANI (977)) o lo ritengono configurabile solo in casi particolari (così ANTOLISEI (978), che lo ritiene configurabile solo con riferimento all’ipotesi aggravata e fa l’esempio della minaccia inviata con uno scritto anonimo che venga intercettato prima del recapito al destinatario. Va rilevato, tuttavia, che, pur configurando la minaccia come delitto formale di pericolo, ammettono peraltro il tentativo MANZINI (979) e DASSANO (980)).

Chi, invece configura il reato come di evento, ritiene senz’altro ammissibile il tentativo, che si realizza in tutte quelle ipotesi in cui, dopo che la minaccia sia stata profferita, non ne segua, per un qualsiasi motivo (mancata percezione concreta, come ad esempio per il chiasso o i rumori o per l’essere la vittima sorda o distratta, ma anche intercettazione dello scritto minatorio, mancata comunicazione da parte del nuncius della minaccia al destinatario etc.) anche l’effettiva intimidazione dell’offeso.

(972)   Così Cass. 25-2-1991, n. 2492.

(973)   Cfr. ANTOUSEI: OP. cìt., pag. 125.

(974)   Cfr. MANTOVANI: Op. cit., pag. 403.

(975)   Cfr. VIARO: Op. cit., pag. 972.

(976)   Cfr. MEZZETTE- Op. cit., pag. 284.

(977)   Cfr. MANTOVANI: Op. e loc. ult. cit.

(978)   Cfr. ANTOUSEI: Op. e loc. ult, cit.

  1. E) Circostanze aggravanti.

Ai sensi del capoverso dell’articolo in esame la minaccia è aggravata quando è fatta in uno dei modi indicati dall’art. 339 e cioè se il fatto è commesso:

—        con armi (e al riguardo occorre ricordare che, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 5 della legge 18 aprile 1975, n. 110, come modificato dalla legge 21 febbraio 1990, n. 36, l’aggravante sussiste anche se si tratti di arma per uso scenico o di giocattolo riproducente un’arma la cui canna non risulti occlusa dall’apposito tappo rosso), o

—        da più persone riunite, o

—        con scritto anonimo, o in modo simbolico, o, infine

—        valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte.

Sempre ai sensi del secondo comma dell’art. 612 la minaccia è, altresì, aggravata quando il danno minacciato è grave.

Per stabilire se la minaccia sia grave, occorre guardare:

—        non solo all’entità del male minacciato (minacciare semplicemente di morte una persona non è di per sè una minaccia grave);

—        ma a tutte le circostanze oggettive e soggettive che si accompagnano all’azione intimidatoria (così è senz’altro grave la minaccia di morte accompagnata dal tentativo di colpire con calcio al basso ventre la vittima, come è grave la minaccia di chi dice «ti taglio il collo con la falce» tenendo in mano, appunto, una falce e facendo il gesto di usarla).

Si è ritenuto che la minaccia fatta con scritto anonimo è sempre grave, a meno che il male minacciato, per la sua obiettiva liceità, sia tale da escludere, nel soggetto passivo, un vero e proprio turbamento psichico (981).

Tale teoria appare, però, eccessivamente rigorosa anche se è innegabile che uno scritto anonimo crea nel soggetto un turbamento generalmente maggiore di quello determinato da altri tipi di minacce non anonime. Quanto, poi, alla minaccia con arma, la giurisprudenza è pacifica nel ritenere sussistente l’aggravante, oltre al caso legislativamente previsto del giocattolo riproducente un’arma, anche nel caso in cui l’arma è inefficiente: si osserva, infatti, che quando l’oggetto è idoneo ad ingannare nella sua effettiva qualità e potenzialità offensiva, l’effetto intimidatorio provocato è identico a quello che deriva dall’uso di un’arma efficiente (982); sempre con riferimento all’aggravante dell’arma è pacifico, in giurisprudenza (983), che per la configurabilità dell’aggravante non è necessario far uso dell’arma ma basta mostrarla o, comunque, esibirla o, anche, semplicemente, informare la vittima della sua immediata disponibilità (984).

Ai sensi del già ricordato articolo 36 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, come modificato dall’art. 17 della legge 15 febbraio 1996, n. 66, infine, anche il delitto in esame è aggravato qualora l’offeso sia una persona handicappata, in tal caso la pena è aumentata da un terzo alla metà.

(979)   Cfr. MANZINI.- Op. cit., pag. 820.

(980)   Cfr. DASSANO: Op. cit., pagg. 337 e 342.

(981)   Così Cass. 14-11-1969, in Giustizia penale, 1970, II, c. 578 e segg., con nota di MIRANDA: Minaccia effettuata con scritto anonimo ed aggravanti di cui al cpv. dell’art. 612 c.p.

  1. F) Pena ed istituti processuali

La minaccia semplice è punita con la multa fino ad € 51.

Se ricorre una delle aggravanti indicate, la pena è della reclusione fino ad 1 anno.

La minaccia semplice è procedibile a querela; quella aggravata d’ufficio.

La competenza appartiene al Giudice di Pace nell’ipotesi semplice ed al Tribunale monocratico nelle ipotesi del secondo comma.

Misure cautelari personali, arresto e fermo non sono mai consentiti, neppure se concorrono le aggravanti.

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