L’ex lavora in nero: spetta il mantenimento?
Cass. ord. n.5603/2020 del 28.02.2020; Cass. ord. n.5077/2021 del 25.02.2021.
È legittimo dimostrare che è in grado di svolgere un’attività grazie alle indagini di un investigatore privato?
La tua ex moglie ha perso il lavoro. Non è che è stata licenziata: si è dimessa perché dice che il suo stato di salute è incompatibile con un’attività lavorativa. Così, ti tocca staccare ogni mese l’assegno divorzile, come dispone la legge che favorisce chi dei due è «messo peggio» da un punto di vista economico. Eppure, un amico ti ha detto ti vederla in giro come se niente fosse, come se non avesse niente. Addirittura, l’ha incrociata mentre faceva un giro in bicicletta. Non solo: la moglie del tuo amico l’ha trovata dall’estetista e anche in palestra. Ti viene il dubbio che l’abbiano scambiata per un’altra ma ti viene anche il timore di versare un assegno inutilmente.
Quindi, ingaggi un investigatore privato che, dopo qualche indagine, ti mette sul tavolo le prove di quello che sospettavi: la tua ex si permette un certo tenore di vita perché lavora in nero. Ergo: se l’ex lavora in nero ha diritto all’assegno?
Recentemente, la Cassazione è stata costretta a ripetere quello che già aveva detto in precedenza: l’assegno divorzile serve a garantire al coniuge più debole di «mantenersi», non di concedersi certi vizi se già lavora o è in grado di lavorare. Se poi svolge un’attività in nero, peggio ancora: viene fuori la nota equazione: «Oltre al danno, la beffa».
Lo scopo dell’assegno divorzile
Prima cosa da chiarire: l’assegno di mantenimento e l’assegno divorzile sono due cose diverse.
L’assegno di mantenimento è quello che deve garantire al coniuge che ha meno risorse economiche lo stesso tenore di vita che aveva quando la coppia stava ancora insieme. Significa che se un operaio era sposato con una dirigente di azienda o la cassiera di un supermercato viveva con l’amministratore delegato di una multinazionale, l’operaio e la cassiera avevano diritto all’assegno da parte della dirigente e dell’amministratore delegato che, sicuramente, prendevano uno stipendio più elevato di loro. In altre parole, lo scopo dell’assegno di mantenimento è quello di bilanciare la condizione economica dei due ex coniugi.
L’assegno divorzile, o di divorzio che dir si voglia, viene pagato quando la coppia è formalmente divorziata. Gli effetti del matrimonio sono ufficialmente annullati e, quindi, moglie e marito sono da considerare completamente degli «ex». A questo punto, il bilanciamento economico tra di loro viene meno e chi ha più risorse non deve garantire il passato tenore di vita ma «soltanto» (notare le virgolette) la sopravvivenza del coniuge più debole.
E arriviamo alle virgolette. Perché il concetto di sopravvivenza è sempre relativo. Il coniuge più sfortunato deve dimostrare che la sua sfortuna è dovuta all’impossibilità oggettiva di mantenersi, non alla mancata voglia di lavorare. Tuttavia, le Sezioni Unite della Cassazione hanno a suo tempo stabilito che bisogna tener conto dell’eventuale apporto che il coniuge più «povero» ha dato durante il matrimonio al patrimonio familiare e dell’ex, attraverso l’assegno divorzile. Il che significa: la moglie (o il marito) che ha sempre seguito famiglia e figli rinunciando al lavoro in modo che il coniuge facesse carriera ha ugualmente diritto ad essere mantenuta.
Assegno divorzile: che succede se l’ex lavora in nero?
E allora va bene: l’ex che sta meglio paga l’assegno divorzile all’ex che sta peggio. Ma dopo un po’ viene a sapere che si permette degli agi improbabili con i soldi che passa ogni mese. Basta qualche indagine per scoprire che sta lavorando in nero. Il che significa che ha un reddito e che non se la passa così male. Un reddito non dichiarato, certo, che le consente di continuare a prendersi l’assegno del povero e ignaro ex.
La Cassazione aveva già stabilito in passato che l’ex impegnato o impegnata in un’attività in nero non aveva diritto ad un assegno divorzile [Cass. ord. n. 5603/2020 del 28.02.2020]. Poi, è tornata sull’argomento ed ha legittimato le indagini della difesa come prova per togliere l’assegno all’ex [Cass. ord. n. 5077/2021 del 25.02.2021].
Lo ha fatto esaminando il caso di una donna che si era dimessa dallo studio del commercialista presso il quale lavorava e che sosteneva di non poter trovare un altro mestiere per problemi di salute. Così, era stato stabilito che l’ex le doveva passare ogni mese l’assegno divorzile, del quale, peraltro, la signora pretendeva un aumento. Senonché, l’uomo ha deciso che fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio ed ha assunto degli investigatori per accertarsi del fatto che fosse vera la versione dell’ex moglie.
Così, è stato scoperto che le dimissioni della donna dallo studio di commercialista erano solo «ufficiali», ma che lei continuava a prestarvi attività in nero. In questo modo, si garantiva una doppia entrata: quella del commercialista e quella dell’ex marito.
Il rubinetto, però, è stato chiuso in tribunale. Prima la Corte d’Appello e, poi, la Cassazione non solo hanno respinto la richiesta di aumentare l’assegno divorzile ma hanno anche confermato che chi lavora in nero non ne ha alcun diritto.
A nulla è servito sostenere che tutto è venuto alla luce grazie ad una consulenza tecnica senza considerare i certificati medici depositati dai legali della donna: per la Cassazione, dimostrare anche con un investigatore privato che l’ex coniuge è in grado di lavorare e che, quindi, non ha diritto all’assegno divorzile è perfettamente legittimo.