Lo psicologo che sa di un reato deve denunciare il paziente?
Segreto professionale psicologo: reati perseguibili d’ufficio e pedofilia, tutti i doveri di denuncia.
Se, nel corso di una seduta dallo psicologo, dovessi confessare che hai commesso un reato o che hai una forte pulsione nel commetterlo, questi potrebbe (o dovrebbe) denunciarti? Se dovessi rivelare di essere attratto dai minorenni, che hai avuto un rapporto con un giovane al di sotto dei 14 anni; se dovessi svelare che hai la tentazione di rubare gli oggetti degli altri o di uccidere i tuoi genitori, cosa rischieresti?
Non a tutti sono noti i limiti del segreto professionale di chi lavora in questo campo: il codice deontologico ne fa espressa menzione, sicché bisognerà riferirsi ad esso per avere un’esatta misura della portata di tale obbligo. Ma procediamo con ordine e vediamo se lo psicologo che sa di un reato deve denunciare il paziente.
Indice:
1 Psicologo e segreto professionale
2 Eccezioni al segreto professionale dello psicologo
3 Lo psicologo che sa di un reato deve denunciare il paziente?
Psicologo e segreto professionale
L’articolo 11 del codice deontologico stabilisce che «lo psicologo è strettamente tenuto al segreto professionale. Pertanto non rivela notizie, fatti o informazioni apprese in ragione del suo rapporto professionale, né informa circa le prestazioni professionali effettuate o programmate».
Proprio per tale ragione – aggiunge il successivo articolo 12 del codice deontologico – «lo psicologo si astiene dal rendere testimonianza su fatti di cui è venuto a conoscenza in ragione del suo rapporto professionale». Questo significa che, se nell’ambito di un processo penale, lo psicologo viene chiamato a testimoniare dinanzi al giudice può rifiutarsi di deporre a tutela del proprio assistito.
Allo stesso modo, se un consulente tecnico d’ufficio nominato dal tribunale (il cosiddetto Ctu) dovesse chiedere allo psicologo informazioni sullo stato di salute mentale del proprio paziente, questi è tenuto ad astenersi dal rispondere in forza del segreto professionale.
A fronte però di questa regola generale sono previste delle eccezioni.
Eccezioni al segreto professionale dello psicologo
L’articolo 13 del codice deontologico consente – ma non obbliga – lo psicologo a violare il segreto professionale (contendendogli peraltro di rendere anche testimonianza dei fatti conosciuti nell’ambito della propria attività) solo se:
ha il consenso del proprio paziente (deve comunque tenere conto dell’opportunità di fare uso di tale consenso, considerando preminente la tutela psicologica dello stesso);
laddove vi sia obbligo di referto o di denuncia [1] ossia quando si tratta di reati particolarmente gravi perseguibili d’ufficio (in ogni caso, lo psicologo deve limitare allo stretto necessario il riferimento di quanto appreso in ragione del proprio rapporto professionale, ai fini della tutela psicologica del soggetto);
qualora si prospettino gravi pericoli per la vita o per la salute psicofisica sia del proprio paziente che di terzi.
Lo psicologo che sa di un reato deve denunciare il paziente?
Da quanto appena appreso possiamo ben comprendere che, per i reati perseguibili a querela di parte – come ad esempio il furto, la truffa, le molestie, lo stalking – lo psicologo resta ancorato al segreto professionale e, pur sapendo che il proprio paziente, ha commesso tale crimine dovrà tenere la notizia riservata e non rivelarla.
Viceversa, nel caso dei reati che destano maggior pericolo sociale, lo psicologo ha il potere (ma non il dovere) di sporgere denuncia. Un tale potere verrà esercitato solo nei casi più gravi posto che lo stesso professionista – anche a tutela della propria clientela – difficilmente sarà portato a svelare i fatti appresi nel corso delle sedute.
Facciamo qualche esempio in cui lo psicologo che sa di un reato può denunciare il proprio paziente:
se una donna rivela al proprio psicologo di subire violenze e percosse dal proprio marito, questi – laddove ritenga che vi sia un pericolo per la sua incolumità fisica – è tenuto a denunciare il reato di maltrattamenti in famiglia (si tratta infatti di un delitto procedibile d’ufficio);
se un giovane dichiara di aver subito abusi sessuali dal genitore, lo psicologo può procedere alla denuncia (anche in questo caso, si tratta di un delitto procedibile d’ufficio);
parimenti se una persona dichiara allo psicologo di aver abusato sessualmente di un’altra o di un minore, lo psicologo pubblico è tenuto a rivelare il delitto mentre quello privato può ancorarsi al segreto professionale;
se il paziente dichiara allo psicologo di avere una forte pulsione sessuale verso i minorenni ma di essere sempre riuscito a bloccarsi in tempo, lo psicologo non deve denunciarlo;
se una persona dichiara di essere affetto da cleptomania e, pertanto, è portata a rubare la roba d’altri non può essere denunciata, trattandosi di un reato procedibile solo a querela di parte;
se una persona rivela di voler uccidere i propri genitori e di aver già tentato l’omicidio può essere denunciato; viceversa, se dichiara che si tratta solo di un pensiero, mai portato a compimento, non c’è obbligo di denuncia.
Note:
[1] Il referto è un atto formale di chi esercita una professione sanitaria con il quale si dà notizia all’Autorità Giudiziaria di un reato procedibile d’Ufficio in riferimento alla persona alla quale è stata prestata assistenza.
La denuncia si presenta per tutti i reati procedibili d’ufficio.
La querela si presenta per tutti i reati procedibili solo su istanza di parte.