Il ‘legislatore provvisorio’ si è accorto finalmente del giudizio penale di appello, dopo averlo del tutto ignorato nelle varie edizioni della disciplina emergenziale.
Basti pensare che la previsione che esclude il remoto per le discussioni, dettata per il primo grado, tagliava automaticamente fuori tutto l’appello, che ordinariamente è ‘solo’ discussione e decisione, pervenendo ad una apparentemente non consapevole esclusione proprio per un rito che tutt’altro che infrequentemente vede difensori assenti o richiedenti con frettolosi fax dell’ultimo minuto sostituzioni “d’ufficio ex art. 97 quinto comma” e discussioni fantasma (il solo riportarsi ai motivi con deposito delle note spese). Ergastolo o pena pecuniaria, omicidio volontario e minacce gravi, l’appello sulla responsabilità e quello sulle attenuanti generiche, l’appello dell’imputato condannato e quello della parte civile ad azione penale definita con proscioglimento irrevocabile: casi che si trattano con il medesimo rito, sempre: udienza partecipata. Così mai il giudizio penale d’appello potrà raggiungere la propria finalità: una ponderata (e collegiale: è l’unica legittimazione per mutare l’apprezzamento di merito del primo giudice) rivisitazione dei punti della decisione devoluti da atti di impugnazione seri che enunciano motivi specifici, con decisioni nel merito in tempi ragionevoli, e non in rito, possibilmente solo finché l’azione penale è attiva… Finalmente si prevedono riti diversi e si riconosce alle parti, che la gestiscono con le proprie valutazioni libere informate e discrezionali, la scelta del rito.
Certo non si poteva pretendere troppo, per questa prima volta. Così la prima volta dell’appello penale oggetto di una autonoma norma emergenziale si risolve nel riproporre lo schema strutturale e sistematico già predisposto pure da precedenti decreti per il giudizio di legittimità, con minimi accorgimenti. Peccato che quello è un giudizio di legittimità che si chiude con una sentenza non impugnabile, il giudizio d’appello è invece giudizio di merito che si definisce con deliberazione soggetta ad impugnazione (sicchè, ad esempio, prevedere la ‘comunicazione’ del dispositivo alle parti fisicamente assenti ha certo natura solo informativa nel giudizio di legittimità, ma crea gravi incertezze nel raccordo con la disciplina della decorrenza dei termini assegnati per il deposito della sentenza e quindi per quelli di impugnazione nel giudizio d’appello).
Ma cogliamo l’aspetto positivo. La prima volta di una pluralità di riti nell’appello penale, la cui scelta è lasciata alla responsabilità consapevole e informata delle parti. E allora un’occasione preziosa che sollecita l’approfondimento con due parallele prospettive: capire cosa accade dei processi dal 25 novembre al 31 gennaio e cosa si deve fare per bene fare; cogliere gli snodi e gli aspetti applicativi che un rito d’appello penale cartolare con il consenso o con la richiesta della parte privata porrebbe per un legislatore ordinario motivato. La presenza di una previsione specifica nel disegno di legge 2435 Camera dei Deputati (il cd Progetto Bonafede giunto nelle aule parlamentari: art. 7 lettera G) giustifica e sollecita l’approfondimento.
Sommario:
- Il primo giudizio di appello penale dell’emergenza –
- Il rito camerale senza la partecipazione fisica delle parti: la disciplina –
- I problemi interpretativi: patologie della comunicazione delle conclusioni della parte pubblica; la comunicazione delle conclusioni delle parti private; l’inadeguata disciplina del carattere ordinatorio dei termini per il deposito informatico delle conclusioni; le repliche –
- L’udienza camerale –
- La “comunicazione” del dispositivo alle parti –
- Il rito in assenza e il concordato sui motivi –
- Il rito con trattazione orale –
- La rinnovazione dell’istruzione –
- La richiesta di trattazione orale –
- La manifestazione della volontà dell’imputato di comparire –
- Il rito per i processi già pendenti.
- Il primo giudizio di appello penale dell’emergenza
L’art. 23 del dl 149, in vigore dal 09/11/2020 stesso giorno della sua pubblicazione sulla GU, detta per la prima volta nella disciplina emergenziale covid19 specifiche disposizioni per “la decisione” dei giudizi penali di appello.
Tale disciplina di eccezione riguarda esclusivamente “gli appelli proposti contro le sentenze di primo grado”.
Sono quindi escluse dalla normativa speciale tutte le altre procedure di competenza della corte di appello: esemplificativamente, tutti i procedimenti partecipati di esecuzione, riparazione ingiusta detenzione, mandati di arresto europei ed estradizioni, revisione, rescissione, prevenzione: in definitiva, tutti i procedimenti per i quali la corte d’appello è unico (salvo per i mae) giudice del merito.
E’ previsto in via generale il rito camerale senza partecipazione fisica delle parti, con tre sole eccezioni che determinano l’operatività del rito ordinario (nelle variabili della pubblica udienza per i procedimenti dibattimentali e del giudizio camerale partecipato fisicamente per i riti abbreviati o ex art. 599, comma 1, cod. proc. pen.); si tratta dei casi in cui: la corte disponga la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale (603), quando il difensore delle parti private o il ‘pubblico ministero’ facciano domanda di discussione orale, quando l’imputato manifesti la volontà di comparire (tuttavia formulando la sua richiesta solo a mezzo del difensore: comma 4, seconda parte).
La disciplina non sembrerebbe applicabile all’appello avverso le sentenze penali del giudice di pace, atteso che l’art. 23 fa esplicito ed esclusivo riferimento alla corte d’appello e, trattandosi di disciplina di eccezione, interpretazioni estensive non paiono possibili.
- Il rito camerale senza la partecipazione fisica delle parti (art.23, commi 1, 2, 3): la disciplina
2.1. Regola generale è che dal 9/11/2020 al 31/01/2021[1] “per la decisione” la corte di appello “procede in camera di consiglio senza l’intervento del ‘pubblico ministero’ e dei difensori” [La norma non fa riferimento espresso all’imputato, ma deve sicuramente ritenersi che neppure l’imputato possa presenziare, in questa tipologia di rito].
Questi i tempi e le modalità della partecipazione delle parti alla decisione:
– entro 10 (dieci) giorni (non ‘liberi’? [2]) prima dell’udienza il ‘pubblico ministero’ “formula le sue conclusioni” con atto trasmesso alla cancelleria della corte per via telematica [3]
– sempre per via telematica la cancelleria invia “immediatamente” l’atto “ai difensori delle altre parti”;
– i difensori delle altre parti “possono” presentare le conclusioni SOLO con atto scritto trasmesso per via telematica alla cancelleria esclusivamente agli indirizzi di posta elettronica certificata dedicati [4]: ciò deve avvenire entro 5 (cinque) giorni (‘non liberi’?) prima dell’udienza
– non è previsto che la cancelleria inoltri anche le conclusioni di una parte privata alle altre parti.
2.2. La diversità dei termini (“formula”, “possono”) indica inequivocamente che:
mentre la parte pubblica deve formulare le conclusioni per ciascuno dei processi fissati alla singola udienza, i difensori delle parti private possono presentarle ma non sono obbligati.
Così, l’essere stato previsto espressamente l’invio per via telematica alle altre parti (“immediatamente”) solo per le conclusioni del ‘pubblico ministero’ [5] comporta che:
deve escludersi che anche le (eventuali) conclusioni della singola parte privata debbano essere comunicate dalla cancelleria della corte alle altre parti [6].
2.3.1. Quanto alla natura dei termini per il deposito delle conclusioni scritte delle parti, considerando che nella stessa norma (l’art. 23 dl 149) è invece specificato il carattere perentorio del diverso termine per la richiesta di trattazione orale (comma 4), si impone la conclusione che:
i rispettivamente dieci e cinque giorni per la formulazione delle conclusioni sono termini NON perentori.
2.3.2. La non perentorietà dei termini di formulazione delle conclusioni e la previsione della comunicazione delle sole conclusioni del procuratore generale pongono problemi concreti, già presentati dall’esperienza in corso ma ignorati dal ‘legislatore’ e da risolvere in via interpretativa, nell’auspicabile attesa che la legge di conversione (o un nuovo decreto legge, stanti le possibili implicazioni in atto delle diverse soluzioni sulla ritualità del giudizio) possa chiarirli:
- I problemi interpretativi: patologie della comunicazione delle conclusioni della parte pubblica; la comunicazione delle conclusioni delle parti private; l’inadeguata disciplina del carattere ordinatorio dei termini per il deposito informatico delle conclusioni; le repliche
3.1. la struttura della comunicazione delle conclusioni della parte pubblica (con l’espressa previsione del loro invio “immediato” alle altre parti e del loro minor termine per il deposito delle proprie) parrebbe imporre la soluzione del possibile obbligo di rinvio dell’udienza camerale, quando la comunicazione delle conclusioni della parte pubblica al difensore di parte privata sia omessa o comunque avvenga oltre il sesto giorno prima della udienza. Rinvio tuttavia da disporsi solo su esplicita richiesta della parte privata interessata all’eccezione (trattandosi di vizio del contraddittorio disponibile: si tratterebbe di nullità ex art. 178 cod. proc. pen. ma intervenuta prima del giudizio e pertanto ex art. 180 con onere di espressa eccezione entro la deliberazione d’appello: quindi con la presentazione di conclusioni della parte privata ‘tardive’ ma precedenti il giorno dell’udienza);
3.2. tuttavia, se il termine di cinque giorni per le ‘altre’ parti è solo ordinatorio, ciò comporta che le conclusioni delle parti private parrebbero poter essere presentate anche entro i cinque giorni, con ciò, conseguentemente, tendenzialmente non sussistendo una certa, insuperabile e consumata, violazione del diritto di difesa nel caso di comunicazione tardiva delle conclusioni della parte pubblica: la dinamica ordinatoria della successione dei termini da un lato non parrebbe poter fondare un diritto delle parti private al termine utile minimo di cinque giorni dalla “immediata” comunicazione delle conclusioni del procuratore generale, dall’altro consentirebbe comunque il rispetto in ipotesi dei cinque giorni riducendo il secondo termine di cinque giorni che non è a garanzia delle parti ma del sistema (trattandosi di termine a favore della tempestiva conoscenza del giudice). Si tratterebbe in definitiva di una garanzia tendenziale per i vari beneficiari, ché altrimenti il ‘legislatore’ li avrebbe previsti perentori;
in definitiva, pare soluzione sistematicamente corretta quella di ritenere che l’eccezione di violazione del diritto di difesa (da proporsi specificamente con conclusioni ‘tardive’ rispetto ai cinque giorni prima dell’udienza) possa imporre il differimento della camera di consiglio, pur senza presenza fisica delle parti, solo quando in concreto le conclusioni del procuratore generale: a) non siano state inoltrate [7], b) siano state inoltrate a difensore diverso da quello effettivo al momento dell’inoltro, c) siano state inoltrate in tempi tali da non consentire oggettivamente la presentazione di proprie conclusioni ‘informate’ ai difensori delle parti private.
3.3. Sono connessi corollari della natura ordinaria del termine due altri conseguenti problemi:
quale è allora il momento ultimo di presentazione delle conclusioni delle parti private a pena di inefficacia/inammissibilità delle stesse?
Secondo problema/corollario:
sono possibili repliche scritte diverse dall’atto di conclusioni?
(fermo restando che l’atto con le conclusioni scritte, oltre che le eventuali note spese, pure contenenti la voce fase deliberazione, può fisiologicamente contenere argomentazioni a sostegno dell’accoglimento delle stesse che non si risolvano, per l’appellante, in motivi nuovi ex art. 585, a quel punto intempestivi [8]).
3.3.1. Due le soluzioni possibili:
- a) il momento di effettivo svolgimento della camera di consiglio, con i magistrati sia in presenza che da remoto, incombente pertanto da tenersi non prima dell’orario originariamente programmato per la trattazione ordinaria in presenza;
- b) almeno il giorno precedente quello della udienza.
La soluzione che individua come momento ultimo della presentazione di conclusioni quello di inizio dell’effettivo svolgimento della camera di consiglio dedicata al singolo procedimento, e conclusa con il deposito del dispositivo[9], è certo astrattamente coerente alla natura ordinatoria del termine, in assenza di alcuna indicazione specifica di un momento o termine finale diverso. Essa però non convince perché non pare tener conto di struttura, finalità e disciplina del rito camerale senza partecipazione fisica (modalità di trattazione che obiettivamente non è più correlata al rispetto di una fascia oraria prevista solo per tutelare esigenze assorbite dall’assenza fisica delle parti).
Si tenga in proposito presente che:
– il termine assegnato per il deposito ultimo delle conclusioni è in realtà a beneficio solo del giudice collegiale e delle incombenze di cancelleria [10]. Esso assolve anche all’obbligo di pertinente tempestiva conoscenza da parte del collegio giudicante il quale, per espressa disposizione speciale (art. 23, comma 3, dl 149 che richiama espressamente la disciplina dell’art. 23, comma 9, dl 137), potrebbe appunto riunirsi anche da remoto, quindi senza presenza fisica dei componenti, o di alcuno di essi, nell’ufficio. La precedente esclusione di tale facoltà, prevista dal dl 137 per le deliberazioni conseguenti alle udienze di discussione, non rileva infatti per i procedimenti camerali con assenza fisica delle parti ex art. 23, comma 2, dl 149, proprio in ragione di tale rinvio esplicito operato da questa norma, che disciplina solo “la ‘decisione’ dei giudizi penali di appello”;
– le ‘conclusioni’ possono essere depositate SOLO per via telematica (art. 23, comma 2, dl 149), a differenza degli altri atti che ‘possono’ essere depositati per via telematica (art. 24, comma 4, dl 137) o con accesso fisico regolamentato alla cancelleria [11];
– manca l’autonoma (necessaria) articolata disciplina espressa del deposito telematico ‘in entrata’ nel penale, come del resto per il deposito fisico [12], con particolare riferimento all’ultimo momento utile della giornata per l’invio efficace che faccia contestualmente corrispondere la eventuale decorrenza di termini per provvedere.
Conseguentemente, se il termine dei cinque giorni è a beneficio ‘dell’Ufficio’, se il deposito può avvenire solo per via telematica, se la fissazione di orari per fasce è finalizzata all’organizzazione ordinata e rispettosa delle udienze trattate in presenza, dovrebbe ritenersi che l’invio ‘utile’ sia quello che perviene alla cancelleria dell’ufficio giudiziario entro il giorno precedente l’udienza ed entro la conclusione del normale orario di lavoro mattutino.
Sembra utile una considerazione finale: se il ‘legislatore’ avesse previsto, o prevedesse, che i cinque giorni (e quindi i dieci) dovessero essere ‘liberi’, più agevole sarebbe stato concludere sul piano sistematico per l’individuazione del giorno precedente l’udienza come momento ultimo del deposito delle conclusioni, a quel punto l’ordinarietà del termine comunque consentendo l’interpretazione della efficacia di un deposito più ravvicinato all’udienza ma non oltre il giorno precedente.
In ogni caso, nel dubbio della certa affidabilità di una sola delle soluzioni rimane l’opportunità prudenziale di depositare i dispositivi dei singoli procedimenti non prima dell’orario originariamente fissato per la trattazione ordinaria.
3.3.2. Quanto alle ‘repliche’, vanno escluse. Si considerino a sostegno dell’assunto: la ristrettezza del termine (cinque giorni ordinatori), la sua disciplina specifica di contenuto palesemente diverso da quelle delle situazioni procedimentali correlabili espressamente disciplinate (611, comma 1, ma con termini molto più ampi) e, con rilievo assorbente, la consolidata giurisprudenza di legittimità che esclude l’applicabilità dell’istituto della replica (prevista, pur con rigorosi limiti, nella discussione di pubblica udienza ex art. 523) ai procedimenti camerali: per tutte, Sez.4 sent. 12482/2011 e 19200/2016, Sez.6 sent. 45182/2019 e 19810/2009. In altri termini, il diritto di replica sussiste solo quando il legislatore espressamente lo attribuisce alle parti, il che non è avvenuto con il dl 149/2020 [13].
Quindi, nel nostro caso, si comprende così la piena coerenza sistematica (e confermativa degli approdi giurisprudenziali di legittimità) della disciplina che prevede l’inoltro alle altre parti solo delle conclusioni del procuratore generale e non di quelle delle altre parti, nonché i due diversi termini ordinatori. Si conferma pertanto che le conclusioni delle parti private non devono essere comunicate dalla cancelleria alle altre parti, pubblica e private.
3.3.3. E’ doveroso dar conto di come il quadro ricostruttivo e le soluzioni pertinenti, che precedono, potrebbero astrattamente essere poste in crisi dal rilievo che, se a fronte dell’eventuale mancata presentazione delle conclusioni da parte del procuratore generale (vuoi per errore vuoi per altra ragione) si dovesse necessariamente rinviare, si sarebbe attribuito alla parte pubblica e in particolare al deposito delle sue conclusioni l’efficacia di una sorta di condizione di procedibilità. Ciò condurrebbe, paradossalmente e in situazioni patologiche, ad attribuire alla discrezionalità della parte pubblica la stessa possibilità di definire il processo, sicchè ciò che solo rileverebbe è che la parte pubblica sia stata nelle condizioni di presentare le proprie conclusioni.
La suggestività del rilievo (il cui accoglimento ‘sconvolgerebbe’ la ricostruzione che precede, in definitiva prospettando una ricostruzione alternativa per cui le parti, pubblica o private, concludono se vogliono, ciascuna nel termine proprio assegnatogli, 10 e 5 giorni prima dell’udienza) non conduce tuttavia a condividerlo. E’ la consapevole struttura della procedura con tre momenti essenziali e convergenti (l’obbligo di presentazione delle conclusioni solo per la parte pubblica: “formula”/”possono presentare”; la diversità dei termini: dieci, cinque giorni; la necessità di inoltrare solo le conclusioni del procuratore generale alle parti private) che in modo francamente inequivoco assegna alle conclusioni del procuratore generale una funzione obbligatoria indefettibile: del resto, a ben vedere, la patologia immaginata (non l’errore, che è rimediabile con il differimento anche brevissimo, ma il ‘rifiuto’ discrezionale) ben potrebbe verificarsi anche nel caso di conclusioni orali necessarie (rito con udienza pubblica). Ma sono situazioni eccentriche alla disciplina del rito che inevitabilmente innescano meccanismi sostitutivi di genere organizzativo/sanzionatorio.
Neppure risulta appagante il richiamo alla natura camerale del rito. E’ proprio la diversità palese di disciplina tra l’art. 127, comma 3 (il p.m. conclude se compare, altrimenti si procede oltre) e la ‘nostra’ struttura appena esposta ed espressamente prevista dall’art. 23, comma 2, dl 149 (il ‘pubblico ministero’ “formula” le sue conclusioni, i difensori delle altre parti “possono presentare”), che rende conto di una disciplina di eccezione, diversa da quella camerale ordinaria e con un proprio equilibrio interno autonomo.
- L’udienza camerale
L’udienza camerale può essere svolta dai tre giudici in presenza nell’ufficio giudiziario ovvero da remoto (alcuno dei componenti del collegio o tutti). Nel secondo caso il collegamento deve avvenire con il sistema teams e ai fini formali il luogo da cui si collegano i singoli magistrati è considerato camera di consiglio a tutti gli effetti (il già ricordato art. 23, comma 9, dl 137/2020, richiamato espressamente dall’art. 23, comma 3, dl 149).
All’udienza partecipa anche l’ausiliario del giudice, sempre dall’ufficio giudiziario (art. 23, comma 5, dl 137/2020, da ritenersi applicabile anche nel caso delle udienze camerali ex artt. 23, comma 3, dl 149 e 23, comma 9, dl 137): lo stesso annoterà nel singolo verbale la composizione del collegio e l’orario di inizio e conclusione della camera di consiglio, ricevendo altresì il dispositivo cartaceo nel caso di presenza fisica del collegio, o di un suo componente, nell’ufficio.
E’ indubbio che il collegio dovrà comunque preliminarmente accertare la regolare costituzione delle parti (pur senza qualificare la posizione dell’imputato in termini di assenza o contumacia) e verificare, con l’assistente di udienza, l’avvenuta presentazione delle conclusioni da parte di alcuna o tutte le parti, pubblica e privata, verificandone il contenuto, in particolare nel caso di parziali rinunce ai motivi ovvero di sollecitazione all’esercizio dei poteri d’ufficio previsti dall’art. 597, comma 5, al fine di evitare vizi di omessa motivazione.
- La “comunicazione” del dispositivo alle parti
5.1 Il dispositivo della “decisione” deve essere comunicato “alle parti” (art. 23, comma 3, seconda parte, dl 149). Lo stesso, sottoscritto dal presidente o da uno dei componenti del collegio, è depositato in cancelleria “il prima possibile”. Nel caso di udienza svolta presso l’ufficio giudiziario il deposito avverrà in esito alla deliberazione.
La previsione della comunicazione del dispositivo riproduce l’analoga disposizione che l’art. 23, comma 8, dl 137 disponeva solo per il giudizio davanti alla Corte di cassazione.
Tuttavia, aspetto essenziale che pare essere stato dimenticato dal ‘legislatore provvisorio’, mentre le decisioni della Corte di cassazione non sono impugnabili (anche il termine per eventuale richiesta di ricorso straordinario decorre dal deposito della sentenza), sicchè la comunicazione del solo dispositivo ha sicuramente una mera valenza conoscitiva/informativa (come il termine stesso “comunicazione”, in luogo della “notificazione”, sembrerebbe confermare), quelle di appello lo sono.
Diviene pertanto essenziale comprendere il significato sistematico della ‘comunicazione del dispositivo alle parti’ per il giudizio d’appello camerale senza presenza fisica delle stesse, in relazione alla disciplina delle impugnazioni con particolare riferimento agli articoli 544 e 585 cod. proc. pen. ed alla disciplina dell’assenza o della contumacia dell’imputato.
Il punto, molto rilevante anche per le implicazioni sul lavoro di cancelleria, purtroppo non è stato disciplinato e sarebbe auspicabile che già in sede di conversione del decreto legge 149/2020 venisse chiarito: a garanzia innanzitutto delle difese di parte privata, che rischiano di trovarsi dichiarati inammissibili per tardività gli eventuali ricorsi presentati facendo riferimento alla data della comunicazione all’imputato.
Il problema riguarda due aspetti: la decorrenza del termine di deposito della sentenza assegnato nel dispositivo e conseguentemente di quello per impugnarla per il procuratore generale e i difensori della parte privata e quella per l’imputato.
In particolare:
il termine assegnato nel dispositivo per il deposito della sentenza decorre dalla data della deliberazione o da quella della comunicazione?
nel primo caso, cosa accade se la comunicazione del dispositivo all’imputato avviene oltre la scadenza del termine assegnato dal dispositivo per il deposito della sentenza e questa è stata effettivamente depositata in quel termine?
Va infatti notato che l’art. 23, comma 3, dl 149 non reitera la disciplina della notificazione solo al difensore di fiducia anche per conto dell’imputato, già presente nella disciplina di prima fase della emergenza covid19 (art. 83, comma 14, dl 18/2020 come convertito nella legge 27/2020: dove comunque rimaneva l’onere di autonoma ‘notifica’ all’imputato assistito da difensore di ufficio che non avesse efficacemente eletto domicilio presso di lui). Conseguentemente la ‘comunicazione’ dovrà essere inviata anche all’imputato (che il mero riferimento alle “parti” deve ritenersi comprendere, in mancanza di diversa specifica esclusione).
Nel caso di valenza solo genericamente informativa della comunicazione (come in concreto è per la Corte di cassazione), il termine per l’eventuale impugnazione decorrerebbe per tutte le parti, pubblica e private, compreso l’imputato, dal giorno della deliberazione tenendo conto dei termini per il deposito della sentenza in essa assegnati.
Se invece la comunicazione avesse una qualche efficacia ‘costitutiva’ della conoscenza, si dovrebbe ritenere che anche il decorso del termine per il deposito della sentenza assegnato nel dispositivo (e produttivo dei correlati diversi termini di cui all’art. 585 per l’impugnazione di tutte le parti) decorrerebbe dalla data di effettiva esecuzione della ‘comunicazione’.
Evidenti le implicazioni della seconda soluzione, specialmente pensando al fatto che la comunicazione all’imputato non eseguibile ai sensi dell’art. 157, comma 8-bis, o al difensore dichiarato domiciliatario, o ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen., dovrebbe avvenire per le vie ordinarie con la tutt’altro che imprevedibile dilatazione dei tempi di effettiva, o ritualmente formale, conoscenza. Il che condurrebbe, nella prassi, alla frequente possibilità che la sentenza venga depositata dall’estensore, specialmente se il termine assegnato è quello dei quindici giorni o di un mese, prima ancora che sia compiuta la ‘comunicazione’ del suo solo dispositivo.
Peculiare è poi la situazione nel caso di sentenza redatta con motivazione contestuale, che dovrebbe allora determinare direttamente la ‘comunicazione’ della intera sentenza, con decorso dei quindici giorni per impugnare, quanto all’imputato, dalla sua positiva effettuazione.
5.2. A favore della prima soluzione concorrerebbero una considerazione formale (appunto il termine ‘comunicazione’ in luogo di ‘comunicazione e notificazione’, la prima per il procuratore generale, la seconda per difensori delle parti private e imputato) e due sistematiche: la previsione dell’incombente anche davanti alla Corte di cassazione che, per quanto prima argomentato, ha sicuramente solo una valenza informativa improduttiva di effetti processuali specifici; il fatto che anche il processo d’appello con rito camerale in assenza presuppone la compiuta informazione di difensori e parti della trattazione del processo in una determinata data, eventualmente solo la mancata deliberazione dovendo essere comunicata per il prosieguo (conclusione supportata dall’insegnamento recente di SU sent. 698/2020 per il rito abbreviato). In tal caso dovrebbe pertanto concludersi che in contesto di assenza o contumacia, il termine per il deposito della sentenza nei termini assegnati in dispositivo decorra per tutti (parti pubblica e private e loro difensori) comunque dalla data di deliberazione e non dalla data di (mera) ‘comunicazione’ del dispositivo o della sentenza con motivazione contestuale.
Si tenga infine conto che poiché la trattazione del processo in rito camerale con assenza fisica è esito di una specifica discrezionale scelta di tutte le parti interessate al singolo processo di non trattare oralmente la causa, nessun pregiudizio potrebbe addebitarsi agli effetti del rito in ipotetico danno sia del diritto di difesa, per le parti private, che dell’interesse pubblico ad un eventuale contraddittorio orale.
La delicatezza della questione, in relazione alle sue implicazioni in termini di modalità dell’esercizio dei diritti processuali e organizzativi delle cancellerie delle corti di appello, davvero sollecita un pronto chiarimento ed una eventuale integrazione della disciplina da parte del legislatore.
- Il rito in assenza e il concordato sui motivi
La prima esperienza applicativa ha segnalato infine incertezze nell’attivazione delle parti, privata e pubblica, per l’eventuale definizione del processo con rito camerale in assenza attraverso il concordato per l’accoglimento dei motivi ex art. 599-bis cod. proc. pen.. Ci si è posti il tema del rapporto tra tale richiesta e la disciplina dei termini (dieci e cinque giorni, pur ordinatori) per il deposito delle conclusioni scritte.
Un’impostazione formale condurrebbe a concludere che l’accordo debba essere presentato dalla difesa (ultima a concludere) con tali conclusioni scritte, che rappresentano il momento di definizione della posizione della parte per la deliberazione. In realtà, ragioni di opportunità, con l’aggancio normativo alla previsione dell’art. 589, comma 4, cod. proc. pen. (che per i riti camerali indica il termine ultimo della rinuncia a “prima dell’udienza”) deve ritenersi che, prescindendo dall’eventuale già avvenuto deposito delle conclusioni scritte, la richiesta di concordato, sottoscritta o fatta comunque propria dalla parte privata e dal procuratore generale, possa essere presentata fino al giorno prima della udienza, comunque prima del suo inizio [14].
Ovviamente, quanto più tempestivo sarà il deposito tanto più possibili saranno eventuali interlocuzioni informali anche della Corte sul contenuto del concordato nella prospettiva del suo accoglimento.
Rimane infatti onere delle parti (obbligo per il procuratore generale, facoltà per il difensore dell’imputato) presentare le conclusioni subordinate, per il caso del mancato accoglimento, non trovando applicazione la disposizione dell’art. 599-bis, comma 3, per la specialità eccezionale del rito emergenziale.
- Il rito con trattazione orale (art.23, commi 1 e 4)
Sono come detto tre i casi in cui anche nel periodo emergenziale (per ora fino al 31/01/2021) si deve procedere con i riti ordinari, dibattimentali ex art. 602 e camerali ex art. 599, trattati in presenza:
1) quando la corte disponga la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale (603)
2) quando il difensore delle parti private o il ‘pubblico ministero’ facciano domanda di discussione orale
3) quando l’imputato manifesti la volontà di comparire.
- La rinnovazione dell’istruzione
8.1. La rinnovazione dell’istruzione dibattimentale non può che essere disposta, su richiesta dell’appellante o d’ufficio e nei casi disciplinati dagli artt. 603 e 604, comma 6, dalla corte con ordinanza nel corso del giudizio.
Questo significa che fintanto che non è stata disposta la rinnovazione, se non è stata chiesta autonomamente la trattazione orale la corte d’appello procederà con il generale rito camerale in assenza. Se all’esito della camera di consiglio riterrà sussistere le condizioni per disporre la rinnovazione, la disporrà deliberando con ordinanza notificata alle parti, contestualmente fissando successiva udienza con trattazione orale nel rito, dibattimentale o camerale, proprio del caso.
Nessun problema di contraddittorio perché l’appellante deve aver proposto motivo specifico che, pertanto, è suscettibile di confronto nelle conclusioni scritte delle altre parti. A seconda delle peculiarità dei casi la corte d’appello potrà sempre adeguare poi il proprio provvedimento all’esito del confronto dialettico orale nell’udienza di rinvio.
8.2. Non muta la soluzione nel caso di appello della parte pubblica o della pur sola parte civile avverso sentenze di proscioglimento, quando l’appello solleciti la rivisitazione dell’apprezzamento di prove dichiarative decisive. L’obbligatorietà della rinnovazione prevista dall’art. 603, comma 3-bis, anche in tal caso non opera automaticamente, perché la corte in tanto procederà alla rinnovazione in quanto riterrà essenziale per decidere la rivalutazione della prova dichiarativa indicata dall’appellante.
E’ pertanto infondato l’assunto che nel caso di appello avverso sentenze di proscioglimento provenienti dalle parti interessate ad un giudizio di affermazione di responsabilità (penale e/o civile) si debba, per ciò solo, sempre e comunque procedere con rito in presenza.
8.3 Problema particolare è quello in cui la rinnovazione richiesta dalle parti si risolve nella domanda di produzione di documenti.
Va condiviso l’insegnamento di Cass. Sez. 5, sent. 32427/2015, secondo la quale per l’acquisizione di un documento non è indispensabile procedere a formale rinnovazione dell’istruzione dibattimentale. Ciò che solo rileva è la possibilità del contraddittorio, che si risolve nella conoscenza tempestiva della richiesta per le altre parti e della loro effettiva concreta possibilità di interloquire sul punto, anche quando poi non esercitino in effetti la facoltà.
Conseguentemente, quando la richiesta di acquisizione documentale sia già contenuta nell’atto di appello, o in tempestivi motivi aggiunti, sarà onere delle altre parti concludere anche sulla stessa, in particolare quando i documenti di cui si chiede l’acquisizione siano stati allegati all’atto di impugnazione, la mancata concreta interlocuzione lasciando libera la corte di deliberare sul punto nella camera di consiglio in assenza fisica delle parti. Stessa soluzione nel caso che sia il procuratore generale a chiedere l’acquisizione di documenti allegandoli alle proprie conclusioni scritte (perché queste vengono inviate alle altre parti).
Quando invece la richiesta di acquisizione del documento provenga da una parte privata e intervenga solo con il deposito delle conclusioni scritte, deve ritenersi che la corte valuterà la natura del documento e la conseguente necessità di una interlocuzione delle altre parti, con apprezzamento estremamente prudenziale, tenendo conto che se si trattasse di documenti il cui contenuto effettivamente possa influire sulla decisione (venendo poi addirittura richiamato nel percorso logico-giuridico argomentativo della deliberazione), l’omessa interlocuzione potrà per sé costituire ragione di annullamento della deliberazione per violazione del contraddittorio.
Anche per i documenti si pone il tema dell’individuazione del momento ultimo della richiesta: in particolare se questa possa intervenire tra il già avvenuto deposito delle proprie conclusioni e fino all’inizio della camera di consiglio per la deliberazione [15].
- La richiesta di trattazione orale
9.1. La richiesta di discussione orale, insindacabile e non sottoposta ad alcuna condizione, deve essere formulata per iscritto entro il termine PERENTORIO di quindici giorni liberi prima dell’udienza. Essa va trasmessa, sia dal procuratore generale che dai difensori delle parti private, alla cancelleria della corte di appello attraverso la pec dedicata (comma 4, prima parte), indicata dal provvedimento DGSIA richiamato e dal conseguente provvedimento organizzativo dell’Ufficio giudiziario.
Formulata la richiesta di trattazione orale, il processo viene trattato secondo il rito ordinario di udienza pubblica o camerale partecipato, corrispondente al rito del primo grado ed alla disciplina dell’art. 599, comma 1, cod. proc. pen., applicandosi le regole proprie.
È sufficiente la richiesta di una sola delle parti, pubblica o private, per imporre la trattazione orale del processo per le altre.
L’insindacabilità della richiesta attesta l’attenzione a che il regime emergenziale e la rinuncia alla presenza fisica trovi la condivisione di tutte le parti protagoniste del processo, giudicate opportunamente tutte e ciascuna titolari degli apprezzamenti di merito pertinenti all’idoneità del rito alla salvaguardia dei propri interessi e diritti processuali.
9.2. Tre problematiche sulla scelta del rito: se sia ammissibile una richiesta tardiva, ancorché in ipotesi congiunta di tutte le parti interessate; se la richiesta di trattazione orale sia revocabile; se sia ipotizzabile disporre d’ufficio la trattazione orale.
La risposta, sul piano formale, sembra necessariamente negativa per tutte.
Alla natura perentoria del termine (per sé esaustiva a negare una richiesta tardiva) si accompagna la considerazione della natura emergenziale della disciplina e delle sue ragione e finalità. Una volta esercitata o non esercitata la facoltà, appunto pure insindacabile, attribuita, il ‘ripensamento’, pur collettivo, non trova spazio, salve sempre le situazioni oggettive che possano fondare una richiesta di restituzione in termine.
Ciò perché, sul piano sistematico, esercitata la facoltà il rito non è più nella disponibilità della e delle parti.
Il potere di ufficio di disporre la trattazione orale anche quando le parti non lo chiedano va pure escluso per la medesima ragione sistematica. In presenza di un contesto emergenziale il ‘legislatore provvisorio’ ha indicato nel camerale senza presenza fisica il rito ‘ordinario’ e le eccezioni sono tassative e quindi solo quelle indicate.
9.3. Un’ulteriore problematica nasce dall’ennesimo silenzio dell’impianto normativo: l’art. 23, comma 4 non prevede come la richiesta di trattazione orale della prima parte che la propone (così, per quanto ora detto, incardinando il rito ordinario) giunga alle altre. Non è stato in particolare riprodotto l’obbligo della cancelleria, che quella prima richiesta riceve, di inoltrarla alle altre parti.
Esigenze sistematiche di elementare buona organizzazione (principio costituzionale di efficienza della giurisdizione) e ragionevole durata del processo (principio costituzionale che sarebbe posto a rischio nel caso di stallo sul punto, per la mancata attivazione spontanea del richiedente nella comunicazione della propria richiesta alle altre parti del suo processo, tra l’altro potendosi innescare la contemporanea sequela di presentazione di conclusioni scritte per le altre parti, determinando una situazione che comunque alfine dovrebbe essere gestita d’ufficio dalla corte) impongono di ritenere che sia onere della cancelleria, anche solo su provvedimento organizzativo interno, dare ‘immediatamente’ notizia di tale richiesta alle altre parti (mutuando l’attivazione che consegue al deposito delle conclusioni scritte del procuratore generale).
Si avverta che non vi è contraddizione tra sollecitare questa attivazione organizzativa ‘spontanea’ e l’aver negato che la stessa sia doverosa anche nel caso di ricezione delle conclusioni scritte delle parti private nel rito camerale in assenza. Basta rilevare le dinamiche temporali ben diverse (quindici giorni liberi, termine perentorio: termine più che sufficiente per comunicare alle altre parti la richiesta di trattazione orale prima dei dieci giorni per le conclusioni del procuratore generale; solo cinque giorni prima e ordinatori, nel caso delle conclusioni scritte delle parti private) per cogliere l’assenza di alcuna irrazionalità delle diverse soluzioni.
- La manifestazione della volontà dell’imputato di comparire
10.1. La terza ‘eccezione’ al rito camerale in assenza è rappresentata dalla “manifestazione della volontà di comparire” proveniente dall’imputato (art. 23, comma 1, ultima parte).
Quella dell’imputato non è una tecnicamente formale richiesta di trattazione orale, ma la conseguenza della manifestazione di tale volontà è proprio quella di imporla.
È per questo probabilmente che la disciplina prevede una disposizione saggia: la manifestazione della volontà dell’imputato di comparire impone la trattazione orale ma è ammissibile solo quando pervenga alla cancelleria della corte di appello a mezzo del difensore. Tale disposizione raggiunge due risultati utili: informa il difensore che, quindi, può concordare con l’assistito la linea difensiva anche sul rito e, comunque, è avvisato del rito di trattazione orale con cui si procederà, obbligandolo ad una presenza effettiva, sia pure eventualmente attraverso sostituto fiduciario ex art. 102 cod. proc. pen. [16]
10.2. L’esperienza ha subito posto il tema della richiesta di partecipazione dell’imputato detenuto il quale chieda direttamente, tramite l’ufficio matricola dell’istituto dove si trova, di partecipare all’udienza, nelle due situazioni possibili del prima e dopo il decorso dei perentori quindici giorni, quando il suo difensore non abbia presentato nei termini l’autonoma richiesta di trattazione orale.
Si è ipotizzata la possibilità che i due commi (1 e 4, seconda parte, dell’art. 23) afferissero il primo all’imputato ristretto e il secondo all’imputato libero, così ‘sganciandosi’ l’imputato detenuto da tempi e modalità riservati all’imputato libero. Ma la norma non pare permettere tale conclusione: basti pensare che il comma 1 individua i casi nei quali non si procede con il generale rito camerale in assenza e il comma 4 ne disciplina i modi e i tempi, quindi vi è assoluta congruità e complementarietà dei due momenti della disciplina.
Deve quindi ritenersi che nel caso in cui l’imputato detenuto o agli arresti domiciliari abbia manifestato direttamente, tramite l’ufficio matricola o a mezzo polizia giudiziaria delegata al controllo o personalmente, la volontà di comparire:
– se non sono decorsi i quindici giorni la cancelleria possa inoltrare la richiesta al difensore perché si attivi al contatto con l’assistito o veicoli direttamente lui la richiesta, condividendola;
– se sono decorsi i quindici giorni e il difensore non abbia già autonomamente chiesto la trattazione orale, la richiesta debba essere dichiarata inammissibile (apparendo opportuno comunque dar notizia all’interessato che si procederà in assenza) [17].
10.3. Diverso è il caso in cui la trattazione orale sia stata chiesta dal procuratore generale o dal difensore di parte privata e si debba quindi procedere con gli ordinari riti di pubblica udienza o camerale partecipato.
In tal caso l’imputato parteciperà, salvo rinuncia, con collegamento di videoconferenza o informatico nel caso di rito in pubblica udienza disposto d’ufficio. Avrà l’usuale ordinario onere di richiedere la partecipazione nel caso di giudizio camerale, ferma la partecipazione a distanza (art. 23, comma 4, dl 137/2020, non derogato).
- Il rito per i processi già pendenti
11.1. Due ultime questioni.
La prima riguarda i processi per cui è fissata udienza nel periodo dal 25 novembre 2020 al 31 gennaio 2021 e provengono da precedenti differimenti da udienze trattate con rito ordinario prima del 9 novembre.
Il quesito è se anche ad essi si applichi la disciplina eccezionale del dl 149.
La risposta pare possa essere differente secondo che il differimento precedente sia avvenuto in via preliminare (accertamento della costituzione delle parti e rinvio per legittimi impedimenti, astensioni, trattative, altre ragioni che abbiano impedito di procedere alla relazione della causa) ovvero dopo la relazione introduttiva.
Nel primo caso la trattazione del processo in definitiva non è iniziata: ne è controprova il fatto che la nuova udienza può essere trattata in composizione collegiale differente (Cass. Sez.3, sent. 47471/2013; Sez.4, sent. 4460/2006). In questo caso dovendo il processo essere trattato ex novo non vi sono ragioni per non applicare la disciplina dell’art. 23 dl 149/2020 nella sua integralità, in applicazione del principio di applicazione del rito previsto per il periodo di trattazione.
Nel secondo caso, la regressione dalla trattazione orale a quella cartolare non pare possibile, in assenza di una disciplina transitoria specifica pertinente. Questo perché nel periodo di emergenza non sono in assoluto precluse le trattazioni in presenza, ma solo diversamente disciplinate, comunque consentite per sola insindacabile scelta di una delle parti.
11.2. La seconda riguarda i casi di processi con detenuto (anche per altra causa) fissati per la trattazione nel periodo divenuto emergenziale, ma con decreto di fissazione dell’udienza già notificato e traduzione (o partecipazione da remoto) già disposta o richiesta di partecipazione già pervenuta prima del 9 novembre. In applicazione di quanto appena argomentato dovrebbe concludersi che quel ‘contatto con il detenuto’, o comunque il ristretto, avvenuto nella fase ‘organizzativa’ dell’udienza non sia per sé idoneo ad imporre la trattazione orale del processo. Sono mutati i presupposti fattuali (l’emergenza sanitaria) e normativi (nel periodo la regola generale è la trattazione camerale in assenza, salvo le tre eccezioni), sicchè deve concludersi che anche la precedente manifestazione di volontà di comparire sia divenuta inefficace e debba essere rinnovata nei tempi e nei modi stabiliti dall’art. 23.
[1] Termine di vigenza dell’emergenza sanitaria, dal rinvio operato dall’art. 23 dl 137/2020 all’art. 1, comma 1, dl 19/2020, senza pure il richiamo ai DPCM applicabili ai sensi del comma 2 [Relazione Massimario 02/11/2020 sulle novità introdotte dal dl 137/2020 nel giudizio penale in Cassazione].
[2] Secondo la stessa relazione (p. 5) anche questi termini sarebbero ‘liberi’ in applicazione della regola generale ex art. 172, comma 4, cod. proc. pen.. L’affermazione tuttavia è palesemente ‘incompleta’ perché non si confronta con il fatto che nello stesso articolo è espressamente specificato che i giorni indicati per la presentazione della richiesta di discussione orale (in Cassazione art. 23, comma 8, quarto periodo, dl 137/2020; per l’appello, art. 23, comma 4, dl 149/2020) sono giorni ‘liberi’. Se nella medesima norma alcuni termini vengono indicati specificamente come ‘liberi’ ed altri no, dovrebbe spiegarsi, ritenendosi anche per i secondi operante la disciplina generale, quale sarebbe la ragione della specificazione solo per i primi.
[3] L’art. 23, comma 2, dl 149 richiama in alternativa sia la generica previsione dei “mezzi telematici” in dotazione alla cancelleria (ex art. 16.4 dl 179/2012 con modifiche) sia i sistemi specificamente resi disponibili e individuati con provvedimento del direttore generale DGSIA.
[4] L’art. 23, comma 2, ultima parte, dl 149 richiama l’art. 24, comma 4, dl 137/2020, secondo cui il deposito degli atti è consentito agli indirizzi PEC degli uffici giudiziari specificamente dedicati. Ora la presentazione delle conclusioni nel giudizio penale di appello nella generale procedura senza l’intervento fisico deve avvenire, solo, a mezzo PEC dedicata (gli indirizzi PEC sono stati assegnati ai diversi Uffici giudiziari con provvedimento del DGSIA del 9.11.2020 e con provvedimento organizzativo interno del singolo Ufficio sono stati stabiliti gli abbinamenti tra indirizzi e servizi).
Ai sensi dell’art. 3 del provvedimento del DGSIA risulta che: L’atto del procedimento in forma di documento informatico da depositare attraverso il servizio di posta elettronica certificata deve essere: 1. In formato pdf , 2. ottenuto da una trasformazione di un documento testuale senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia di parti, quindi non è ammessa la scansione di immagini, 3. sottoscritto con firma digitale o firma elettronica qualificata.
I documenti allegati all’atto del procedimento in forma di documento informatico devono rispettare i seguenti requisiti: 1. Essere in formato pdf, 2. le copie per immagine di documenti analogici hanno una risoluzione massima di 200 dpi, 3. le tipologie di firma ammesse sono PAdES e CAdES. Gli atti possono essere firmati digitalmente da più soggetti purché almeno uno sia il depositante, 4. la dimensione massima consentita per ciascuna comunicazione è pari a 30 mega byte.
[5] Si noti che la disciplina, pur dettata specificamente e solo per l’appello penale, non utilizza mai la locuzione ‘procuratore generale’.
[6] Del resto, occorre considerare che l’arretratezza dello stato informatico delle procedure penali (esito di consapevoli scelte del passato privilegianti la compiuta tempestiva informatizzazione del solo settore civile) non prevede alcun automatismo di reinvio delle conclusioni alle parti pur risultanti dal registro sicp, sicchè gli incombenti connessi a tale eventuale invio sarebbero insostenibili per gli attuali organici delle cancellerie penali, oltretutto spessissimo scoperti in percentuale consistente (basti pensare che per ogni singolo processo d’appello con un solo imputato e una sola parte civile le notifiche da curare potrebbero giungere ad almeno quattordici: decreto di fissazione udienza 4, conclusioni pg 2, conclusioni imp 2, conclusioni pc 2, comunicazione dispositivo 4, tutte da eseguire singolarmente con il sistema snt).
[7] La tesi dell’irrilevanza della mancata presentazione delle conclusioni per la parte pubblica non convince: vedi oltre nel testo il par. 3.3.3
[8] Ancorché la differenza tra ‘motivi nuovi’ e ‘argomenti a sostegno delle conclusioni’ risulti più formale che sostanziale, posto che per consolidata giurisprudenza di legittimità i motivi nuovi non possono afferire a punti della decisione diversi da quelli soli devoluti con l’originario atto di impugnazione. Del resto, è l’intera disciplina processuale ordinaria ad essere palesemente insoddisfacente laddove prevede i motivi nuovi ex 585, comma 4, poi le memorie e richieste ex art. 121, che la norma dichiara depositabili in cancelleria in ogni stato e grado del procedimento ma, quanto alle memorie, pure allegabili al verbale di udienza quando presentate in giudizio a sostegno di richieste ma anche delle conclusioni finali (482, comma 1), senza contemporaneamente disciplinare il contraddittorio sul contenuto. Sicché, paradossalmente, affermato il diritto al pertinente contraddittorio, il deposito di memoria articolata con le conclusioni potrebbe imporre la violazione del principio costituzionale della ragionevole durata con il necessario differimento. Sarebbe essenziale estendere la disciplina che invece solo per il rito di cassazione il legislatore ha disciplinato espressamente, e con diverso contenuto, stabilendo termini precisi: art. 611, comma 1, per i procedimenti in camera di consiglio, tuttavia la giurisprudenza di legittimità avendo esteso in via interpretativa estensiva la medesima disciplina anche ai procedimenti con pubblica udienza: per tutte da ultimo, Sez.6 sent. 11630/2020. In realtà la disciplina processuale penale pare da sempre timorosa di stabilire modalità e termini certi e seri per l’esercizio insindacabile di facoltà discrezionali, privilegiando (accettando) l’intempestività dell’esercizio a detrimento della ragionevole organizzazione dei tempi di trattazione, anziché impegnarsi per conseguire un equilibrio efficace tra salvaguardia rigorosa dei diritti delle parti ed efficienza della giurisdizione.
[9] Problema nel problema è, appunto, se in tal caso l’eventuale riferimento al momento dell’udienza debba pure tener conto dell’originario orario di udienza fissato per la originaria prospettiva di trattazione ordinaria in presenza, con fasce orarie determinate solo per limitare i rischi dell’assembramento, in aula ma pure, nel caso di trattazione ‘a porte chiuse’, nei locali esterni per l’attesa. La soluzione proposta nel testo assorbe questo problema peculiare, tuttavia dovendosi osservare che la fissazione dell’orario è strettamente collegata alla celebrazione del processo secondo le forme ordinarie, risultando tendenzialmente, sul piano strutturale, irrilevante, e quindi incompatibile, con la trattazione camerale senza partecipazione fisica delle parti.
[10] Sul presupposto della mancata contestuale previsione di una disciplina di eventuali repliche: vedi par. successivo.
[11] Il punto (deposito solo per via telematica alla pec ‘dedicata’) è importante, perché la prima esperienza applicativa ha presentato più casi di difensori che, non avendo chiesto la trattazione orale e non avendo presentato entro i cinque giorni le conclusioni, accedono all’aula di udienza, comunque all’assistente dell’udienza in corso, prima dell’orario precedentemente fissato per l’originaria trattazione orale, chiedendo allora di depositare fisicamente le conclusioni con eventuali note spese. La conclusione, sul piano formale, dovrebbe essere quella della ‘irricevibilità’ di un tale deposito ‘fisico’, quindi anche il tema dell’orario riguardando allora solo il pervenimento di depositi tramite pec nel giorno di udienza e prima dell’orario di inizio della camera di consiglio.
[12] Il riferimento è all’orario ultimo di efficace/legittimo pervenimento della pec ‘depositante’ rispetto all’orario di ordinario funzionamento delle cancellerie (si veda per tematica sostanzialmente sovrapponibile Cass. Sez. 6, sent. 42710/2011, paragrafo 3.1.2, pertinente l’art. 123 cod. proc. pen.). Si pensi infatti ad un’istanza cautelare che pervenga attraverso pec dedicata alle 18 del venerdi: quando decorrono i cinque giorni per provvedere?
[13] Non convince sul punto la Relazione Massimario 02/11/2020, già richiamata, laddove pur dando atto della mancata previsione delle repliche ritiene per la Cassazione (ma è il principio che rileva) applicabile analogicamente il sistema ex art. 611, tuttavia non affrontando l’aspetto essenziale dei termini ben più ristretti, unici per il deposito delle conclusioni, e degli eventuali modi, tempi e attribuzione dell’onere di comunicazione delle conclusioni delle parti private.
[14] Si ripropone la questione trattata al paragrafo 3.3.1
[15] Ancora una volta il tema trattato al paragrafo 3.3.1
[16] Volutamente non si approfondisce in questa sede il tema, prettamente deontologico, della condotta del difensore che in ipotesi chieda la trattazione orale in proprio, o veicoli la manifestazione di volontà di partecipare dell’assistito, e poi non compaia all’udienza ed eventualmente si limiti a chiedere sostituzione d’ufficio ai sensi dell’art. 97, comma 4, cod. proc,. pen.
[17] Sembra opportuno sensibilizzare formalmente gli istituti carcerari sulla tematica, perché svolgano la prima attività informativa con i detenuti, per consentire più efficacemente, quando il termine perentorio non è decorso, il contatto con il difensore.