Le conseguenze amministrative e penali delle dichiarazioni mendaci sui requisiti: revoca, decadenza, reato di truffa. Rileva anche l’omissione di dati.
Le truffe per ottenere indebitamente il reddito di cittadinanza sono, purtroppo, all’ordine del giorno. La cronaca è ricca di casi di scoperte di parecchi abusivi percettori ed anche sul nostro sito abbiamo parlato delle frodi più eclatanti.
Uno dei modi più comodi per riuscire a prendere il sussidio è quello delle false dichiarazioni. In fase di ammissione al beneficio, infatti, il richiedente è tenuto ad indicare ufficialmente di essere in possesso dei necessari requisiti lavorativi e reddituali.
Le attestazioni da fornire sono molte e riguardano la soglia di reddito personale e del nucleo familiare, lo stato di disoccupazione e i vari aspetti della propria situazione economica, compreso il possesso di beni patrimoniali e le eventuali vincite al gioco.
Una volta acquisiti i dati dichiarati dall’interessato, la pubblica amministrazione si mette in moto per accertarne la veridicità; ad esempio vengono svolti controlli su residenze e lavori in nero ed anche in seguito proseguono le verifiche per stabilire se chi ha già ottenuto il reddito può mantenerlo, come i controlli su chi rifiuta il lavoro. Il problema è che il più delle volte si tratta di controlli successivi e non preventivi; così nel frattempo alcuni riescono a farla franca, ottenendo per mesi o anni una provvidenza cui non avrebbero diritto.
Vediamo però più da vicino e in dettaglio sul reddito di cittadinanza cosa rischia chi attesta il falso: la macchina dello Stato è talvolta lenta ed imprecisa – basta pensare al fatto che i controlli vengono effettuati a campione e solo successivamente alla erogazione delle somme – ma una volta che si è messa in moto ed arriva a scoprire i “furbetti del reddito di cittadinanza” diventa implacabile con i malcapitati che finiscono nella rete: le conseguenze per chi ha reso dichiarazioni mendaci sono molto gravi e comportano inevitabilmente la pena della reclusione, che può arrivare fino a 6 anni di carcere.
Anche la giurisprudenza ha dato una stretta su questi fenomeni e non lascia scappatoie: in una nuova sentenza che esamineremo, la Cassazione ha affermato che la pena detentiva va applicata anche a chi nonostante le false dichiarazioni rese, avrebbe avuto comunque diritto alla percezione del reddito.
Indice:
1 Reddito di cittadinanza: i requisiti di ammissione
2 Reddito di cittadinanza: le condizioni per ottenerlo
3 Reddito di cittadinanza: quando non spetta e quando si perde
4 False dichiarazioni nella richiesta di reddito di cittadinanza: quando è reato
5 Cosa succede quando il reddito di cittadinanza spetta anche tenendo conto dei dati omessi.
Reddito di cittadinanza: i requisiti di ammissione
La legge istitutiva del reddito di cittadinanza impone innanzitutto al richiedente di dichiarare esattamente e in maniera completa la propria situazione personale e le sue condizioni economiche, estese all’intero nucleo familiare di appartenenza.
Per fare il punto sui documenti necessari ti invitiamo a leggere la nostra guida completa “Reddito di cittadinanza 2021” aggiornata all’ultima legge di Bilancio che ha stabilito alcune variazioni rispetto al passato; per conoscerle nel dettaglio leggi anche l’articolo “Reddito di cittadinanza: ultime notizie”.
Tra i requisiti di ammissione spiccano quelli contenuti nella domanda per reddito di cittadinanza: è un’autodichiarazione da compilare con cura in tutte le sue parti perché, come vedrai tra poco, una rappresentazione non veritiera di fatti e circostanze comporta non solo la perdita del sussidio e l’impossibilità di riottenerlo per i successivi 10 anni, ma anche l’applicazione di pesanti sanzioni penali.
Reddito di cittadinanza: le condizioni per ottenerlo
Le principali condizioni per avere diritto al reddito di cittadinanza sono lo stato di disoccupazione o di non occupazione stabile e un reddito Isee del nucleo familiare inferiore a 9.360 euro.
Inoltre c’è una soglia relativa al possesso di immobili (a parte la prima casa) il cui valore non deve superare i 30mila euro, mentre il patrimonio mobiliare (composto dalle giacenze di conti correnti, dai depositi in titoli, libretti, obbligazioni, azioni o altri cespiti finanziari) deve essere al di sotto della soglia di 6mila euro (incrementata di 2mila euro per ogni componente del nucleo familiare).
Anche le autovetture sono considerate: occorre che nessun componente della famiglia del richiedente possieda autoveicoli immatricolati da meno di 6 mesi o con cilindrata superiore a 1.600 cc o motoveicoli immatricolati nel biennio precedente o con cilindrata maggiore di 250 cc; il tutto ad eccezione dei soli veicoli per persone disabili.
Reddito di cittadinanza: quando non spetta e quando si perde
Se si eccede uno qualsiasi dei limiti che abbiamo indicato il reddito di cittadinanza non spetta: mancherebbero, infatti, le necessarie condizioni di disoccupazione lavorativa e di indigenza economica che giustificano l’erogazione della misura di sostegno.
Una volta ottenuto il reddito, però, si può decadere dal reddito di cittadinanza sia quando non si sottoscrive il patto per il lavoro o per l’inclusione sociale o non si partecipa alla ricollocazione (in proposito leggi “Reddito di cittadinanza: cosa fare per non perderlo“) sia quando, mentre lo si sta percependo, vengono superate le soglie reddituali o patrimoniali che ti abbiamo indicato.
In particolare, la dichiarazione Isee va sempre aggiornata per mantenere il beneficio dopo i 18 mesi dalla prima ammissione (leggi “Reddito di cittadinanza: quando scade“).
Inoltre il reddito viene revocato se emerge che sono state dichiarate circostanze false per ottenere il Reddito, oppure quando si è omesso di comunicare tempestivamente le variazioni delle condizioni economiche o della situazione lavorativa che incidono sulla fruizione. Sono situazioni diverse e che, come ti spiegheremo tra poco, comportano pene differenti.
Intanto per conoscere alcuni esempi specifici di queste situazioni leggi l’articolo “Reddito di cittadinanza: perdita, riduzione e sanzioni”.
False dichiarazioni nella richiesta di reddito di cittadinanza: quando è reato
La legge istitutiva del reddito di cittadinanza [1] è molto severa e prevede due specifiche fattispecie di reato in caso vengano rese dichiarazioni mendaci. Si tratta, sostanzialmente, di due ipotesi di truffa finalizzata ad ottenere il reddito di cittadinanza, per le quali sono previsti due distinti reati speciali.
Il primo caso riguarda «chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio, rende o utilizza documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute»; la pena prevista per questa ipotesi è la reclusione da 2 a 6 anni.
Il secondo caso concerne, invece, «l’omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio» ed è punita con la reclusione da 1 a 3 anni.
Si tratta di reati di pericolo, cioè volti a tutelare la pubblica amministrazione da falsità, anche mediante omissioni, nelle dichiarazioni necessarie per valutare le condizioni di ammissibilità al beneficio oppure per il suo mantenimento; non è dunque necessario che, a seguito del mendacio, il danno per lo Stato si sia effettivamente realizzato (le dichiarazioni false potrebbero essere scoperte prima che il sussidio venga erogato).
Cosa succede quando il reddito di cittadinanza spetta anche tenendo conto dei dati omessi
Ma cosa succede quando, nonostante le false dichiarazioni, il reddito di cittadinanza spetta ugualmente, perché i dati che si è omesso di comunicare non incidono sulle condizioni di reddito, che rimane sotto la soglia di legge e dunque il diritto a percepirlo permane? Secondo la Corte di Cassazione [2] il reato di truffa per ottenere l’indebita erogazione sussiste comunque ed è completo di tutti i suoi elementi.
Claudio omette di inserire nella dichiarazione Isee la proprietà di alcuni terreni. Il mendacio viene scoperto; lui si difende nel processo penale sostenendo che avrebbe avuto diritto a percepire il reddito di cittadinanza anche riportando quelle quote, perché, pur tenendo conto dei cespiti omessi, il suo reddito non avrebbe comunque superato la soglia. Ma viene condannato lo stesso: la truffa commessa mediante le false dichiarazioni si è realizzata, a prescindere dalla sussistenza delle condizioni per essere ammesso al beneficio.
Questa pronuncia è molto interessante in quanto dimostra che per i giudici di legittimità il reato è integrato in base alle «false indicazioni od omissioni di informazioni dovute, anche parziali, dei dati di fatto riportati nell’autodichiarazione finalizzata all’ottenimento del reddito di cittadinanza, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio», spiega la Suprema Corte richiamando una sua precedente pronuncia conforme [3].
Per spiegare questo principio il Collegio richiama il «dovere di lealtà del cittadino verso le istituzioni dalle quali riceve un beneficio economico»; dunque per violare questo “patto di fedeltà” basta la falsità nelle dichiarazioni e non è affatto necessario che, in concreto, siano state superate le soglie reddituali di legge. In altre parole, non importa che, pur includendo i dati omessi, il cittadino avrebbe avuto comunque diritto a percepire il reddito: il reato è già stato commesso nel momento di presentazione delle dichiarazioni false o incomplete.
«Non può essere lasciata al cittadino beneficiario la scelta su cosa comunicare e cosa omettere», spiegano gli Ermellini, sottolineando che il reddito di cittadinanza è un meccanismo di riequilibrio sociale, il cui funzionamento presuppone necessariamente una leale cooperazione fra cittadino e amministrazione, che sia ispirata alla massima trasparenza». E i giudici di piazza Cavour richiamano in proposito le analoghe conclusioni raggiunte in tema di gratuito patrocinio [4], dove il reato di false dichiarazioni sulle condizioni di legge previste sussiste anche quando si rientrerebbe comunque nei requisiti di reddito per ottenere l’ammissione.
Note:
[1] Art. 7 del D.L. n. 4 del 28 gennaio 2019, conv. in Legge 28 marzo 2019, n. 26.
[2] Cass. sent. n. 2402/21 del 20 gennaio 2021.
[3] Cass. sent. n. 5289/20 del 10 febbraio 2020.