Il limite imposto al persecutore non opera se l’ordinanza restrittiva non specifica quali sono i luoghi frequentati dalla vittima: il giudice deve specificarli.
Il reato di stalking prevede un’apposita misura cautelare per evitare che il persecutore possa continuare a minacciare e molestare la vittima. Ma non sempre questo provvedimento viene emanato e, talvolta, anche quando c’è l’imputato può contestarlo e farlo annullare. Nello stalking quando non c’è divieto di avvicinamento?
Innanzitutto, quando il reato non si configura in maniera chiara. Tecnicamente, si dice che mancano i gravi indizi di colpevolezza, che debbono fondare l’emissione di ogni provvedimento restrittivo della libertà personale. In altri casi, il giudice può non ritenere necessario limitare i movimenti fisici dello stalker e ritenere sufficiente il divieto di comunicazioni telefoniche o via Internet, quando le persecuzioni sono state realizzate esclusivamente con tali mezzi.
Il problema degli effettivi limiti del divieto imposto sorge perché anche la persona offesa si muove e compie degli spostamenti che spesso non sono preventivabili. Per capire quando nello stalking non c’è divieto di avvicinamento basti pensare che la Corte di Cassazione [1] ha annullato un’ordinanza restrittiva perché non elencava specificamente quali erano i luoghi “vietati” all’autore del reato: i giudici di piazza Cavour hanno stabilito che la loro individuazione non può avvenire in modo indeterminato, con riferimento a quelli in cui di volta in volta si trova, o potrebbe recarsi, la persona offesa.
Insomma, i limiti sono molteplici e nulla è automatico. Anche quando l’ordinanza che vieta l’avvicinamento del persecutore alla vittima viene emanata, ci sono delle modalità che il giudice deve rispettare, altrimenti il provvedimento può cadere in fase di impugnazione. Ma c’è sempre la possibilità di individuare una precisa distanza da mantenere tra lo stalker e la sua preda: se si individua questa fascia di sicurezza esprimendola in metri, non possono sorgere malintesi o dubbi interpretativi.
Indice:
1 Reato di stalking: le condotte vietate
2 I rimedi contro lo stalking
3 Il divieto di avvicinamento dello stalker alla vittima
4 Divieto di avvicinamento: distanza e limiti
5 Divieto di avvicinamento: quando non opera.
Reato di stalking: le condotte vietate
Il reato di stalking [2] consiste in una serie di atti persecutori che possono consistere in minacce o molestie. Deve trattarsi non di un episodio singolo, ma di «condotte reiterate» e tali da provocare alla persona offesa almeno una delle seguenti conseguenze:
«un perdurante e grave stato d’ansia o di paura», derivante dall’azione dello stalker;
un «fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva», come il convivente o il fidanzato;
costringere la vittima «ad alterare le proprie abitudini di vita», ad esempio modificando i propri orari di entrata ed uscita da casa o i consueti percorsi per evitare di incontrare il persecutore.
I rimedi contro lo stalking
La vittima di condotte di stalking ha due rimedi, tra loro alternativi ed entrambi rimessi alla sua scelta: sporgere querela o chiedere l’ammonimento del questore.
La querela può essere sporta entro sei mesi dai fatti (è un termine più lungo rispetto a quello ordinario, di tre mesi, previsto per altri reati). Querelare significa non soltanto denunciare i fatti subiti, descrivendoli con chiarezza, ma anche chiedere espressamente la punizione del colpevole. Lo stalking rientra tra i casi di “Codice rosso”: le indagini sono più rapide e il pubblico ministero ha l’obbligo di ascoltare la persona offesa entro tre giorni dal ricevimento della notizia di reato.
L’ammonimento del questore è un’alternativa alla querela. Si ricorre a questo strumento quando la vittima non è ancora intenzionata ad instaurare un procedimento penale contro il suo persecutore e vuole concedergli una possibilità di ravvedimento. In tali casi, la persona offesa chiede al questore, con un’istanza depositata – anche senza avvocato – presso qualsiasi organo di pubblica sicurezza, di ammonire formalmente lo stalker. Svolti gli accertamenti indispensabili, il questore emetterà l’ammonimento: se da quel momento il soggetto ammonito compirà altri atti persecutori sarà denunciato d’ufficio e, in caso di condanna, riceverà un aumento di pena.
Il divieto di avvicinamento dello stalker alla vittima
Il Codice di procedura penale [3] contempla un’apposita misura cautelare personale per prevenire la reiterazione dello stalking o di altri gravi reati, come i maltrattamenti in famiglia: è il divieto di avvicinamento alla vittima da parte dello stalker. Si applica quando il giudice non ritiene necessario disporre la custodia cautelare in carcere o gli arresti domiciliari, ma neppure lasciare completamente libero l’imputato, se si teme che possa compiere analoghe condotte costituenti reato.
La richiesta viene formulata dal pubblico ministero al gip (giudice per le indagini preliminari) o, se il processo è già stato instaurato, al giudice del dibattimento penale. Il giudice emette l’ordinanza restrittiva in presenza di gravi indizi di commissione del reato, che potranno essere desunti dal resoconto dei fatti fornito in querela e dalle indagini compiute dalla Procura e dalla polizia giudiziaria.
Divieto di avvicinamento: distanza e limiti
Il contenuto del provvedimento di divieto di avvicinamento viene stabilito dal giudice in base alla situazione concreta ed ai rapporti esistenti tra il persecutore e la vittima, che potrebbero essere colleghi di lavoro o parenti, anziché estranei, e vivere nella medesima località frequentando gli stessi ambienti (ufficio, scuola, palestra, ecc.).
La prescrizione emanata nei confronti dell’imputato potrà essere quella di non avvicinarsi affatto a determinati luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, oppure «di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa»; in tal caso, andrà indicato il preciso limite da rispettare, ad esempio 300 metri.
In casi particolari, quando le minacce sono estese anche ai congiunti della persona offesa o ai conviventi oppure a soggetti che hanno una relazione affettiva con la vittima, il giudice può estendere il divieto di avvicinamento, o prescrivere il rispetto del limite di distanza, anche nei confronti di queste persone.
Il giudice può anche imporre il divieto di comunicazioni a distanza con la vittima, con qualsiasi mezzo telefonico o telematico, ad esempio vietando i contatti via Internet, tramite i social e attraverso i sistemi di messaggistica come WhatsApp.
Divieto di avvicinamento: quando non opera
Quando il giudice ha individuato la distanza esatta che lo stalker non deve oltrepassare, non sorgono particolari problemi interpretativi sulla portata del divieto: la fascia di rispetto, necessaria per tutelare la sicurezza e la serenità della vittima, è stata stabilita in partenza e in modo chiaro.
Diversamente accade quando il giudice ha indicato alcuni luoghi, abitualmente frequentati dalla vittima, ai quali lo stalker non deve avvicinarsi e non può accedere. Di recente, la Cassazione ha chiarito che i limiti di avvicinamento alla vittima devono essere individuati in modo specifico e non soltanto con riferimento alla presenza in essi della persona offesa (che potrebbe essere possibile e solo eventuale e comunque non dipendente dalla volontà dell’autore del reato).
Nell’ultima ordinanza sul tema [1], la Suprema Corte ha ribadito questa necessità, affermando che «nel disporre la misura cautelare, il giudice deve determinare specificamente i luoghi oggetto del divieto di avvicinamento e di mantenimento di una determinata distanza», mentre quando «ritenga adeguata e proporzionata la sola misura cautelare dell’obbligo di mantenere una determinata distanza dalla persona offesa, può limitarsi a indicare tale distanza».
Note:
[1] Cass. sent. n. 20739 del 25.05.2021,
[2] Art. 612 bis Cod. pen.
[3] Art. 282 ter Cod. proc. pen..