Il valore dello schizzo di campagna che inchioda il ciclista quando invade la carreggiata durante il sorpasso.
Una recente sentenza della Cassazione [1] stabilisce la responsabilità in caso di investimento di ciclista che non mantiene la destra. Nel caso di specie, la Corte ha applicato il principio del concorso di colpa.
Chi conduce una bicicletta ha, al pari di chi guida l’auto, l’obbligo di mantenere la destra, ossia di camminare sul margine destro della carreggiata.
Nel caso di specie, un automobilista era stato condannato in primo grado perché, alla guida di una Fiat 500, avrebbe investito un ciclista durante una manovra di sorpasso. L’accusato si è rivolto in Cassazione contestando il fatto che il giudice non avrebbe tenuto conto dell’unico elemento oggettivo rilevato dai Carabinieri, evidenziato nel cosiddetto “schizzo di campagna”.
Cos’è lo schizzo di campagna? Si tratta dello schizzetto, realizzato a mano libera, di solito delle autorità intervenute sul luogo del sinistro (polizia, carabinieri) e che serve a descrivere graficamente i luoghi ove si è verificato un determinato sinistro nonché la posizione dei mezzi dopo l’incidente. Insomma, si tratterebbe di una riproduzione “alla buona” dello scenario dell’incidente per come appare ai verbalizzanti al momento del loro arrivo.
Ebbene, nel caso di specie, lo schizzo di campagna ha inchiodato il ciclista. In esso, infatti, i poliziotti avevano individuato il punto della strada ove si sarebbe verificato l’urto tra il ciclista e il conducente, rivelando che il primo non si sarebbe mantenuto al margine destro della carreggiata per evitare il sinistro stradale.
Di qui il “concorso di colpa” fra il presunto responsabile e l’altro utente della strada.
Ricordiamo inoltre che, in caso di omicidio stradale, sussistendo un concorso, anche minimo, di colpa in capo alla vittima è prevista una diminuzione della pena fino a metà.
Note:
[1] Cass. sent. n. 20091/21 del 20.05.2021.
SENTENZA
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 19 gennaio – 20 maggio 2021, n. 20091
Presidente Dovere – Relatore Dawan
Ritenuto in fatto
- La Corte di appello di Firenze, parzialmente riformando la sentenza, resa all’esito di giudizio abbreviato dal Gip del Tribunale di Pisa, nei confronti di B.N. per averne revocato le statuizioni civili, l’ha confermata nel resto.
- L’imputato è stato ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 589-bis c.p.” con esclusione della contestata aggravante di cui al comma 5, n. 3, medesimo articolo, per avere, alla guida dell’autovettura Fiat 500, procedendo lungo la SRT 68 in direzione Saline di Volterra, nel corso di una manovra di sorpasso di due veicoli, in presenza di linea continua di mezzeria, ed essendo costretto a rientrare repentinamente nella propria corsia di marcia, per il sopravvenire di una curva, investito la bicicletta condotta da D.W.W. procedente nella stessa direzione di marcia e nella medesima corsia, cagionandone il decesso.
- La dinamica dell’accaduto era stata ricostruita dal giudice di primo grado sulla scorta delle sommarie informazioni, rese nell’immediatezza del fatto e successivamente confermate, dall’unico teste oculare, Be.Lo. , e dal nominato perito, ing. C.C. . Il primo ha riferito che, mentre percorreva la SRT (…), in direzione (omissis) , alla guida della propria autovettura Peugeot, veniva sorpassato da una Fiat 500 bianca che, superata anche una seconda auto precedente la sua, cercava poi di riposizionarsi velocemente sulla semicarreggiata di destra della strada, sbandando all’imbocco di una curva, così investendo il ciclista che procedeva nello stesso senso di marcia. Gli accertamenti svolti dell’Ing. C. consentivano di individuare il punto d’urto tra la bicicletta e la Fiat 500 al centro della corsia di pertinenza dei due mezzi, a circa 20 metri dalla fine della curva sinistrorsa che precede il rettilineo in cui avveniva l’impatto.
- Avverso la sentenza di appello ricorre l’imputato, per il tramite del difensore, sollevando tre motivi con i quali, rispettivamente, deduce:
4.1. Erronea applicazione dell’art. 141 C.d.S., per avere la Corte territoriale reputato la velocità tenuta dall’imputato non adeguata alle condizioni di tempo e di luogo, tale da essere inidonea ad evitare l’investimento del ciclista, senza, tuttavia, precisare quale dovesse essere la velocità adeguata al caso concreto.
4.2. Mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione con riguardo al concorso del ciclista nella causazione dell’evento. La Corte territoriale avrebbe liquidato in modo eccessivamente sintetico la questione e non ha tenuto conto dell’unico elemento oggettivo rilevato dai Carabinieri, evidenziato nel c.d. “schizzo di campagna” che individuerebbe il punto d’urto come più vicino alla linea di mezzeria che al margine destro della carreggiata. Se il ciclista si fosse mantenuto sul margine destro della carreggiata, il sinistro non si sarebbe verificato. Se la Corte territoriale avesse valutato questa circostanza sarebbe pervenuta a ridurre la pena ai sensi dell’art. 589-bis c.p., comma 7, così come richiesto nell’atto di appello.
4.3. Illogicità e contraddittorietà della motivazione con riguardo alla disposta revoca della patente di guida. Il ricorrente evidenzia che: l’auto condotta dall’imputato, una Fiat 500, è consona ai neopatentati (quali l’imputato); la velocità dal B. tenuta era inferiore a quella consentita; il soccorso prestato dall’imputato, successivamente all’urto, ne ha dimostrato il senso di responsabilità. Inoltre, la disposta revoca non appare compatibile con i principi di proporzionalità dettati dalla sentenza 88/2019 della Corte Costituzionale.
- In data 11/01/2021, il difensore, avv. Cristofani, faceva pervenire in cancelleria conclusioni scritte.
Considerato in diritto
- Meritevole di accoglimento è unicamente il secondo motivo di ricorso, dovendosi il ricorso rigettare nel resto.
- Quanto al primo motivo. Come è noto, l’accertamento della violazione cautelare richiede la preliminare identificazione della regola che doveva essere osservata nel caso concreto. Operazione, questa, che si rivela meno agevole allorquando la regola cautelare non ha un contenuto sufficientemente determinato, come invece avviene per le cosiddette regole cautelari “rigide”. Al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte ha offerto una concettualizzazione appropriata laddove ha sostenuto che è regola cautelare cosiddetta “elastica” quella che necessita, per la sua applicazione, di un legame più o meno esteso con le condizioni specifiche in cui l’agente deve operare; mentre regole cautelari cosiddette “rigide” sono quelle che fissano con assoluta precisione lo schema di comportamento (Sez. 4, n. 29206 del 20/06/2007, Di Caterina, Rv. 236905, la quale ha specificato come, nel primo caso, sia necessario, ai fini dell’accertamento dell’efficienza causale della condotta antidoverosa, procedere ad una valutazione di tutte le circostanze del caso concreto).
L’art. 141 C.d.S. è una norma cosiddetta “elastica”. Entrambi i giudici di merito hanno ritenuto che il ricorrente abbia violato l’art. 141 C.d.S., comma 3, il quale impone al conducente di regolare la velocità, tra l’altro, “nei tratti di strada a visibilità limitata, nelle curve”. Come è noto, l’art. 141 C.d.S. impone di tenere una velocità prudenziale ma non definisce quale essa sia attraverso parametri rigidi, valevoli in ogni caso, giacché intende che essa sia definita in relazione alle condizioni concrete nelle quali si pone l’atto della guida. È la stessa disposizione dell’art. 141 C.d.S. a venire in soccorso: da essa, infatti, emerge che la velocità prudenziale è quella che permette al conducente di mantenere il controllo del proprio veicolo e di compiere manovre di emergenza senza creare ulteriori pericoli; di arrestare il veicolo entro i limiti del proprio campo di visibilità e dinanzi ad ostacoli prevedibili.
2.1. A questi principi si è correttamente informata la Corte territoriale che, con giudizio conforme alle risultanze istruttorie, ha fornito congrua e coerente motivazione sulla colpa ascrivibile all’imputato e sulla incidenza della medesima sotto il profilo causale. Entrambi i giudici di merito, sulla base dei sopra citati accertamenti, hanno ritenuto che causa dell’incidente sia stata la velocità non prudenziale tenuta dall’imputato cui va ad aggiungersi una sua probabile distrazione ovvero un suo fallito tentativo di superare la bicicletta senza urtarla; ciò in considerazione del fatto che non sono state rilevate tracce di frenata nella fase ante urto e che non vi è stato il superamento del velocipede da parte dell’imputato. Su quest’ultimo punto, il perito aveva sottolineato che, terminata la curva sinistrorsa, si ha una limitatissima visibilità sulla curva destrorsa successiva, non potendosi così escludere che l’imputato si fosse avveduto della presenza del ciclista ma, anziché rallentare ed accodarsi a lui, abbia tentato di sorpassarlo, salvo poi accorgersi del veicolo che sopraggiungeva sulla semicarreggiata opposta: ne conseguiva una manovra di rientro repentino nella propria corsia di marcia, ad una velocità non adeguata, che portava l’auto a ridosso del velocipede contro cui finiva per impattare. Nella ricostruzione operata dai giudici di merito, la velocità tutt’altro che prudenziale della Fiat 500 è stata la causa principale del sinistro perché ha impedito al conducente dell’auto, una volta venutosi a trovare in pochi istanti ad immediato ridosso della bicicletta e constatata l’impossibilità di superarla, di arrestare l’autovettura in tempo utile a scongiurare la collisione. In particolare, si è sostenuto che la velocità del B. , stimata in circa 90 km/h, pur corrispondente al limite massimo stabilito per quella strada, si rilevava, tuttavia, del tutto inadeguata in rapporto allo stato dei luoghi, dato che quel tratto di strada era connotato dalla presenza di un dosso a visibilità totalmente preclusa, di accessi laterali e di due curve, opportunamente presegnalate, di cui la prima con ridotto raggio di curvatura e visibilità limitata, quest’ultima espressamente riconosciuta dallo stesso imputato. Di talché anche una velocità pari a 65/70 km/h, come stimata dal consulente della difesa, non sarebbe stata adeguata.
La sentenza impugnata -ricordato come una manovra di sorpasso, tanto più se di due auto, comporti inevitabilmente un’accelerazione della velocità, tale da rendere più difficile l’arresto del veicolo di fronte ad un ostacolo improvviso, e come costituisca dato pacifico che l’investimento sia avvenuto dopo che il B. era rientrato dal sorpasso – congruamente sostiene essere improbabile che, in detta fase, la velocità della Fiat 500 fosse moderata (l’unico teste oculare, il citato Be. , aveva riferito di una “gran velocità”).
In sostanza, la Corte distrettuale, al pari del primo giudice, ascrive all’imputato la violazione delle prescrizioni cautelari che impongono di adeguare la velocità alle condizioni del caso concreto, adeguatamente esaminandone, come si è visto, l’efficacia causale rispetto al sinistro. Diversamente da quanto assume il ricorrente, la sentenza impugnata ha indicato in 60 km/h massimi la velocità adeguata, ovvero quella che, alla luce di tutte le circostanze del caso, risultava ex ante ragionevolmente in grado di evitare l’investimento, anche tenuto conto dell’imminenza della curva.
- Il secondo motivo di ricorso, afferente all’invocato concorso della vittima nella causazione dell’evento, è fondato. La circostanza attenuante ad effetto speciale di cui all’art. 589-bis c.p., comma 7, fa riferimento all’ipotesi in cui l’evento non sia esclusiva conseguenza dell’azione o dell’omissione del colpevole: ipotesi che ricorre nel caso in cui sia accertato il c.d. “concorso di colpa” fra il presunto responsabile e altro utente della strada (la vittima, ma non solo essa). Va precisato che la norma non evoca alcuna percentuale di colpa nè in capo al colpevole, nè in capo ad altri, con la conseguenza che anche una minima percentuale di colpa altrui potrà valere a integrare la circostanza attenuante. Sotto questo profilo, il motivo di ricorso coglie nel segno, atteso che la motivazione della sentenza impugnata sul concorso di colpa del ciclista appare del tutto apodittica e, quindi, di fatto, inesistente, atteso che la questione era stata devoluta dall’imputato con specifico motivo di appello. Giova ricordare che, sul punto, la sentenza di primo grado, pur nulla stabilendo al riguardo, dava atto di quanto rilevato dallo stesso perito, ing. C. , e cioè che il ciclista, nel percorrere il breve rettilineo in ascesa che collega le due curve presenti sulla strada in questione, viaggiava in prossimità del centro della propria corsia di marcia e non sul margine destro della carreggiata, come prescrive l’art. 143 C.d.S., comma 2. Sul possibile concorso della persona offesa nella causazione dell’evento dovrà, dunque, pronunziarsi la Corte di merito in sede di rinvio.
- Restando assorbito il terzo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va annullata limitatamente alla statuizione concernente l’applicabilità dell’art. 589-bis c.p., comma 7, con rinvio, per nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte di appello di Firenze. Nel resto il ricorso va rigettato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione concernente l’applicabilità dell’art. 589-bis c.p., comma 7 e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Firenze. Rigetta il ricorso nel resto.