Bar, locali e rumore della gente per strada: quali sono gli orari da rispettare per la quiete pubblica? Come denunciare gli schiamazzi?
Chi vive al centro della movida troverà difficile dormire la notte quando le strade si riempiono di giovani e gli schiamazzi notturni diventano intollerabili. I gestori dei locali, pur dovendo fare di tutto per non generare disagio ai residenti, sono – comprensibilmente – più accondiscendenti verso i clienti che nei confronti dei vicini. Dall’altro lato, non sempre la polizia è disposta a intervenire nei confronti di qualche ragazzo che, euforico per la birra ed i cocktail, canta ad alta voce.
Ebbene, cosa fare in caso di schiamazzi notturni derivanti dal rumore sulle strade per bar, locali e discoteche? Una risposta la fornisce la giurisprudenza.
Indice:
1 La denuncia alla polizia
2 La responsabilità del Comune
3 La responsabilità dei gestori dei locali
La denuncia alla polizia
Partiamo dall’inquadramento del comportamento di chi fa chiasso durante gli orari del riposo. Questo comportamento, quando molesta gran parte dei residenti nel quartiere o i condomini dell’intero edificio, integra il reato di disturbo della quiete pubblica.
La legge non individua degli orari da rispettare per la quiete pubblica, limitandosi a dire che il
rumore integra un illecito nel momento in cui è intollerabile e disturba un numero indeterminabile di persone.
Il reato è procedibile d’ufficio: ciò significa che basta una segnalazione alla polizia per obbligare la
stessa a intervenire e procedere penalmente nei confronti dei responsabili. Più volte, ad esempio, si è agito nei confronti dei giovani che, con lo stereo dell’auto acceso in mezzo a una piazza, hanno interrotto il sonno dei vicini.
La responsabilità del Comune
Secondo il tribunale di Torino [1], i residenti possono chiedere il risarcimento dei danni al Comune per non aver fatto rispettare gli orari del riposo in caso di quartiere dedito alla movida.
Il danno non patrimoniale conseguente a immissioni illecite è risarcibile indipendentemente dalla prova di un effettivo danno biologico documentato.
È stato così riconosciuto il risarcimento del diritto al riposo, al sonno, al tranquillo svolgimento delle normali attività e al godimento dell’habitat domestico e di quartiere, ovvero quel “pregiudizio non patrimoniale derivante dallo sconvolgimento dell’ordinario stile di vita” per come previsto già dalle Sezioni Unite della Cassazione [2].
La responsabilità dei gestori dei locali
Non in ultimo, è possibile agire contro i gestori dei locali. La stessa Cassazione [3] ha ritenuto responsabile per il reato di disturbo alla quiete pubblica il titolare di un pubblico esercizio che non si adoperi per impedire rumori e schiamazzi da parte dei propri clienti con disturbo del riposo e delle attività delle persone residenti nelle vicinanze (il caso si riferiva alla responsabilità del gestore di una pizzeria che non aveva impedito gli schiamazzi dei clienti).
Pertanto, chi viene molestato dal chiasso nelle strade può sporgere denuncia. Secondo la Suprema Corte, il gestore del locale risponde per disturbo della quiete pubblica se non adotta tutti i comportamenti necessari ad evitare i rumori [4]. E ciò vale anche se il rumore proviene dal parcheggio dedicato ai clienti della discoteca.
La semplice presenza di un cartello che invita i clienti a non fare chiasso non salva il titolare dell’attività notturna dalla condanna per il reato di disturbo al riposo delle persone, se costui non si attiva per rendere effettivi divieti e prescrizioni ad esempio tramite l’impiego di guardie al di fuori del locale.
Per la Corte, il gestore della discoteca, in virtù della sua posizione di garanzia, doveva fare di più per impedire gli schiamazzi notturni: dal personale dedicato, alla somministrazione di bevande in recipienti non da asporto, dal ricorso alle forze di polizia fino a mandare via i più rumorosi. L’adozione di un tale tipo di provvedimenti, infatti, può determinare una limitazione dei rumori.
Note:
[1] Trib. Torino, sent. n. 1261/21 del 15.03.2021.
[2] Cass. S.U. sent. n. 2611/17.
[3] Cass. pen. 28/03/2017, n.30189
[4] Cass. pen. sez. III, 18/01/2017, n.22142.