L’utilizzo dei captatori informatici nei luoghi di privata dimora.
L’uso del captatore per una intercettazione tra presenti è ammissibile solo se l’indagine condotta riguarda la criminalità organizzata
- La sentenza Scurato
- Violazione della libertà e della segretezza delle comunicazioni
- Mancata indicazione delle coordinate spaziali
- Le intercettazioni disposte per i delitti di criminalità organizzata
- L’ambito di applicazione del virus trojan
- I trojan nei luoghi di privata dimora
La sentenza Scurato
Tuttavia, tali strumenti esistevano ed erano utilizzati già da prima.
L’articolo 266-bis del codice di procedura penale, infatti, da tempo dispone che “Nei procedimenti relativi ai reati indicati nell’articolo 266, nonché a quelli commessi mediante l’impiego di tecnologie informatiche o telematiche, è consentita l’intercettazione del flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici o telematici ovvero intercorrente tra più sistemi”.
L’impiego dei captatori ha fatto il suo ingresso anche nelle aule di giustizia già prima del 2017 e di esso si sono occupate diverse sentenza, tra le quali merita di essere ricordata anche la sentenza Scurato n. 26889/2016, che si è occupata del loro utilizzo nei luoghi di privata dimora.
La vicenda
Tale pronuncia, nel dettaglio, prende le mosse dal ricorso proposto contro un’ordinanza di conferma di custodia cautelare emessa l’8 gennaio 2016 – in sede di riesame- dal Tribunale di Palermo. L’indagato era stato sottoposto alla misura poiché, da intercettazioni “ambientali” – svolte tramite software del tipo trojan- e dichiarazioni accusatorie rilasciate da due collaboratori di giustizia, era emersa la sua partecipazione all’associazione mafiosa “Cosa nostra”.
L’ordinanza veniva impugnata per svariati motivi, primo tra tutti l’asserita inutilizzabilità delle intercettazioni per violazione dell’articolo 266 comma 2 cpp. sotto due profili.
In primo luogo, la difesa riteneva che non fosse stato rispettato il divieto di eseguire intercettazioni all’interno di abitazioni privare, dal momento che la captazione sarebbe stata autorizzata senza che in questi luoghi si stessero compiendo attività criminali: da ciò la consequenziale inosservanza della riserva di legge contemplata dall’articolo 14 Cost. Le intercettazioni difatti, dal decreto di autorizzazione, risultavano essere state svolte anche all’interno dell’abitazione della moglie del reggente del mandamento locale, ora detenuto – con la quale l’indagato era spesso in contatto – operando sia come intermediario fra la signora ed il nuovo reggente in carica, sia come gestore delle estorsioni e del traffico di stupefacenti.
In secondo luogo, si contestava che la captazione fosse stata disposta in mancanza dell’indicazione del luogo in cui doveva essere eseguita.
Questa situazione avrebbe comportato la violazione non solo della norma codicistica, ma anche delle garanzie individuate agli articoli 2,4, 15 della Costituzione e dell’articolo 8 CEDU.
In particolare la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e del cittadino, all’articolo anzidetto, enuncia il diritto al rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza, prevedendo – al secondo comma- una clausola di limitazione con la quale subordina l’ammissibilità di ogni ingerenza della pubblica autorità alla previsione legislativa e al perseguimento di una delle finalità legittime indicate dalla norma e la necessità che la misura sia disposta nell’ambito di una società democratica (Quanto detto è stato affermato anche dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo nella sentenza: Zakharov c. Russia, del 4 dicembre 2015).
Tornando al caso oggetto di analisi, la difesa recriminava una descrizione non sufficiente dei luoghi all’interno del decreto di autorizzazione, il quale solo genericamente indicava lo svolgimento delle attività di captazione. Il difensore – secondo cui la precisazione del luogo costituisce un requisito di legittimità dell’intercettazione- a sostegno della sua tesi riprendeva una sentenza del 2015 ove la Cassazione, in un caso analogo a quello di specie, aveva affermato che la formulazione dell’articolo 266 comma 2 cpp implicherebbe l’obbligo di specificare nel decreto di autorizzazione il luogo in cui devono svolgersi le captazioni. In quella sede, i giudici di legittimità, a sostegno di questo orientamento, avevano ritenuto tale lettura compatibile con il dettato dell’articolo 15 della Costituzione.
Violazione della libertà e della segretezza delle comunicazioni
L’uso di uno strumento di sorveillance risulterebbe sempre illegittimo per violazione della libertà e della segretezza delle comunicazioni, perché capace di seguire il soggetto in qualunque luogo esso si trovi. Questa interpretazione troverebbe conferma – sempre secondo la medesima sentenza- anche nella giurisprudenza che ammette la variazione del luogo in cui si devono svolgere le intercettazioni ” solo se rientrate nella specificità dell’ambiente oggetto dell’intercettazione autorizzata”.
Nei procedimenti relativi alla criminalità organizzata, l’intercettazione domiciliare – in deroga al limite di cui al comma 2 dell’articolo 266 cpp – è consentita “anche se non vi è motivo di ritenere che nei luoghi predetti si stia svolgendo l’attività criminosa”, ex articolo 13 del d.l. n. 152 del 1991. Nell’ipotesi in cui l’intercettazione avvenga in luogo di privata dimora, quando si procede per delitto di cui all’articolo 416 bis cp, non vi è l’obbligo di motivare sul fatto che vi sia fondato motivo di ritenere che in quel luogo si stia svolgendo un’attività criminosa. Tenuto conto di tale osservazione, il provvedimento autorizzatorio del giudice per le indagini preliminari era legittimo e non aggirava alcun divieto di legge.
Mancata indicazione delle coordinate spaziali
Circa l’eccezione riguardante la mancata indicazione delle coordinate spaziali, il collegio palermitano ha adottato una sequenza di deduzioni.
Dal momento in cui l’indagato mantiene i contatti attraverso la rete informatica, si rimarca il rapporto di pertinenza tra il dispositivo elettronico – lo smatphone – e le reti di relazioni mafiose online attivatesi attraverso l’utilizzo dei mezzi di comunicazione informatici – skype, internet- tra cui quello in uso all’indagato.
Per il Tribunale è soddisfatta la specificazione dei luoghi che il decreto avrebbe individuato nella stanza in cui è ubicato l’apparecchio informatico, nella quale l’indagato si collega telematicamente con i suoi interlocutori anch’essi affiliati di “Cosa Nostra”. Suddetta demarcazione garantisce che le conversazioni intercettate non abbiano un contenuto riguardante vicende private della famiglia dell’indagato, ma riguardino solo l’attività criminosa circoscritta in quel contesto spaziale in cui l’indagato si collega con gli altri affiliati, per sovraintendere e coordinare le vicende mafiose.
Simile apprezzamento era avvalorato dal fatto che il captatore informatico inserito nello smartphone intercettato non copre un raggio superiore a 10 metri di distanza rispetto al luogo in cui il congegno è posizionato.
Le intercettazioni disposte per i delitti di criminalità organizzata
È doveroso approfondire due tematiche: le intercettazioni disposte per i delitti di criminalità organizzata e l’ambito di applicazione del virus trojan.
Per effettuare intercettazioni nelle procedure relative alla criminalità organizzata occorrono sufficienti indizi di reato (non gravi indizi come stabilito per i reati comuni); inoltre, le stesse sono ammesse quando siano necessarie e non indispensabili -ex articolo 267 cpp- per lo svolgimento delle indagini. Le intercettazioni ambientali nel domicilio sono autorizzate anche se non vi è motivo di ritenere che nei luoghi anzidetti si stia svolgendo attività criminosa.
L’ambito di applicazione del virus trojan
Per quanto riguarda l’ambito di applicazione del malware – nominato trojan- va detto che in ambito investigativo, tutte le volte che si parla di captatore informatico, dobbiamo inevitabilmente differenziare due diverse prassi operative: quella online search e quella online surveillance. Alla categoria online search appartengono quei programmi che consentano di fare copia – totale o parziale – delle unità di memoria del sistema informatico scelto come obiettivo. In questo caso i dati sono trasmessi in tempo reale o ad intervalli predisposti agli organi di investigazione – in modalità protetta e nascosta- tramite la rete internet.
Circa i programmi online surveillance, invece, quest’ultimi sono in grado di captare il flusso informatico che passa tra le periferiche (come: video, microfono, tastiera e webcam) e il microprocessore del dispositivo obiettivo. Tutto ciò consente al centro remoto di controllo di verificare in tempo reale tutto ciò che viene visualizzato sullo schermo, ciò che viene pronunciato al microfono o digitato sulla tastiera. Questi software si installano senza che vi siano autorizzazioni dell’utente, in modo occulto, escludendo la possibilità di rilevarne la presenza. I virus possono cercare tra i files presenti sul PC o su altri collegati in rete locale, captano i dati in entrata e uscita, attivano autonomamente microfono e webcam, perquisiscono l’hard disk e fanno la copia dell’unità di sistema. I software sono capaci di nascondersi dagli antivirus e, nelle versioni più evolute, possono operare come remote control system.
Il virus trojan si occupa della captazione della voce dell’utilizzatore e dell’interlocutore, dopo che la stessa è stata decifrata; le informazioni così ottenute sono inviate presso server esterni, posti nella sala d’ascolto ma, se il dispositivo non è collegato alla rete, le informazioni saranno salvate in locale ed inviate al server al primo collegamento alla rete. Le intercettazioni sono inerenti, poiché prescindono dai luoghi, e sono caratterizzate dall’ubiquità, poiché i captatori possono intercettare informazioni ovunque essi si trovino; la captazione, infatti, è dinamica proprio perché il dispositivo mobile segue gli spostamenti dell’intercettato.
L’ambito di applicazione della cimice-microspia è completamente diverso: essa, infatti, poteva essere occultata in qualsiasi oggetto, ma era in grado di captare solo le informazioni del luogo in cui era impiantata. I virus informatici costituirebbero una vera e propria rivoluzione, poiché necessitano solo di un “click” degli agenti addetti all’ascolto – naturalmente previa autorizzazione del giudice.
Specie prima della riforma Orlando, però, non erano poche le incertezze relative all’ammissibilità di questo meccanismo investigativo, considerato che i diritti fondamentali della persona potrebbero soffrire di un mancato adeguamento rispetto all’evoluzione tecnologica.
I trojan nei luoghi di privata dimora
Tornando alla sentenza Scurato, la stessa rileva perché con essa la Corte di cassazione ha enunciato, prima della riforma Orlando, dei principi importanti circa la possibilità di compiere intercettazioni tramite captatori informatici nei luoghi di privata dimora.
In particolare i giudici hanno escluso che sia possibile compiere con tali mezzi delle intercettazioni nei luoghi indicati dall’articolo 614 del codice penale, al di fuori della disciplina derogatora per la criminalità organizzata dettata dall’articolo 13 del decreto legge numero 152/1991, posto che all’atto dell’autorizzazione non è possibile prevedere i luoghi di privata dimora nei quali verrà introdotto il dispositivo elettronico né, di conseguenza, effettuare un adeguato controllo circa l’effettivo rispetto del presupposto che in detto luogo “si stia svolgendo l’attività criminosa”.
La captazione nei luoghi di privata dimora è invece possibile per i procedimenti relativi ai delitti di criminalità organizzata, anche terroristica, anche se tali luoghi non sono singolarmente individuati e anche se in essi non si sta svolgendo attività criminosa.
La sentenza ha infine precisato che devono intendersi procedimenti relativi a delitti di criminalità organizzata quelli elencati nell’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale e quelli che fanno capo a un’associazione per delinquere, con esclusione del mero concorso di persone nel reato.