Per la Cassazione, il reato di violenza sessuale non viene meno solo perché la moglie subisce passivamente il rapporto sessuale imposto e preteso dal marito traditore
Indice:
Violenza sessuale e maltrattamenti
C’è violenza sessuale se il rifiuto al rapporto è postumo?
La passività della donna non preclude la violenza sessuale
Violenza sessuale e maltrattamenti
Il reato di violenza sessuale è integrato anche se la moglie è passiva e si limita a subire il rapporto preteso e rivendicato dal marito traditore. Questa in sintesi la conclusione della Cassazione nella sentenza n. 8501/2021 chiamata a pronunciarsi sulla seguente vicenda giudiziaria di maltrattamenti e violenza all’interno del rapporto coniugale.
La vicenda processuale
Confermata in sede di appello la condanna dell’imputato per violenza sessuale e maltrattamenti per aver costretto, in diverse occasioni, la moglie a subire rapporti non voluti. Ridotta invece la pena per lesioni stante l’improcedibilità per il suddetto reato dovuta alla remissione della querela.
C’è violenza sessuale se il rifiuto al rapporto è postumo?
L’imputato ricorre in Cassazione contestando l’attendibilità della persona offesa, costituitasi parte civile in giudizio, portatrice in tale veste d’interessi patrimoniali e spinta ad agire nei suoi confronti per rancore.
Dalle deposizioni emerge infatti che il dissenso ai rapporti deve ritenersi postumo agli stessi, frutto di un’elaborazione dettata dai tradimenti subiti dal marito. L’ incoerenza della donna è dimostrata anche dal fatto che la stessa, dopo essersi allontanata per due mesi dalla casa coniugale è ritornata con il marito e dal fatto che la stessa non abbia mai raccontato alle figlie o ai vicini di casa, di aver subito violenza, essendosi limitata a tenere durante i rapporti una condotta passiva.
Con il secondo motivo lamenta la mancata riduzione della pena di 1/3 alla luce dell’integrale risarcimento del danno e della remissione della querela da parte della moglie. Condizione che doveva condurre i giudici a riconoscere l’attenuante contemplata dall’art 62, n. 6) c.p. che contempla proprio “l’avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di esso.”
La passività della donna non preclude la violenza sessuale
La Cassazione però dichiara il ricorso inammissibile perché in relazione al primo motivo rileva come lo stesso non sollevi una critica motivazionale, traducendosi solo in un giudizio sulla valutazione dei fatti contenuta nella sentenza impugnata, che richiederebbe quindi una nuova valutazione dei fatti, preclusa in sede di legittimità. In ogni caso le censure risultano astratte e meramente contestative.
Per quanto riguarda poi la critica sull’attendibilità della moglie la Cassazione fa presente che la motivazione sul punto non presta fianco ad alcuna critica: “Alla riscontrata coerenza, linearità e precisione del narrato da parte della donna si affiancano invero una pluralità di riscontri costituiti dalle deposizioni delle amiche, delle sorelle e finanche di una delle figlie che, oltre ad essere spettatrici delle brutali aggressioni sia fisiche che verbali ripetutesi negli anni da parte del marito, avevano comunque ricevuto le confidenze della donna, ben prima che venisse da costei sporta la querela, sulle violenze sessuali subite a seguito della resistenza opposta ai congiungimenti carnali che l’uomo rivendicava come una pretesa. Del resto la giustificazione addotta dalla vittima sul rifiuto di assecondare il coniuge, derivante dalla scoperta delle svariate relazioni extraconiugali intrattenute da costui è stata ritenuta plausibile anche in ragione della parziale confessione dell’imputato che, valutata unitamente al suo temperamento dominatore e violento, collimava ampiamente con il quadro emerso dall’espletata istruttoria.”
Non valutabili le doglianze prospettate solo in sede di legittimità, con cui il marito si lamenta della mancata prova dell’interruzione della convivenza coniugale e dell’assenza di certificati medici in grado di dimostrare la violenza.
Per quanto riguarda infine il secondo motivo la Cassazione chiarisce che la sentenza d’appello non è censurabile, in quanto non è stata esplicitata dall’imputato la richiesta relativa alla concessione dell’attenuante ex art. 62 n.6) c.p., che poteva essere presentata fino alla precisazione delle conclusioni del giudizio di appello.