Ritardo nel rilascio del permesso di costruire: il danno va risarcito?
Sentenza del Consiglio di Stato n.1448/2021
Il Consiglio di Stato entra nel merito del risarcimento del danno dovuto dal ritardo nel definire il rilascio di un permesso di costruire.
Ritardo nella definizione di un procedimento di rilascio di un permesso di costruire, rapporti tra privati e amministrazioni comunali, convenzioni e richieste di danni: sentenza interessante e particolare quella del Consiglio di Stato (n. 1448/2021) che permette di approfondire e chiarire questi aspetti.
Il ricorso
Propone ricorso una società che doveva realizzare un parcheggio sotterraneo in un Comune. Ma il ritardo con cui l’amministrazione comunale ha definito i contenuti di una convenzione edilizia, ha comportato il mancato rilascio del permesso di costruire e quindi l’opera non si è potuta realizzare. Adesso la società chiede i danni al Comune.
Il rilascio del permesso di costruire
Scrivono i giudici: “Il rilascio del permesso di costruire è sottoposto, nell’interesse comune e per la salvaguardia di superiori valori, ad un regime di governo e controllo amministrativo“. Ormai è noto che le istanze di concessione edilizia non necessitano di nessuna motivazione oltre a quella relativa “alla rispondenza della stessa alle prescrizioni“. Questo perché il permesso di costruire implica un accertamento di carattere vincolato, costituito dalla verifica della conformità della richiesta con la normativa urbanistico-edilizia e con le regole recate da norme speciali (ad es. in materia sanitaria, antisismica, paesaggistica, ecc.).
La disciplina sul permesso di costruire
Le norme per un corretto rilascio del permesso di costruire sono contenute all’interno del DPR n.380/2001 (c.d. Testo Unico Edilizia), in particolare all’art. 20 che definisce anche la relativa tempistica, consentendone l’interruzione per una sola volta per la motivata richiesta di documenti che integrino o completino quelli presentati e che non siano già nella disponibilità dell’Amministrazione o che questa non possa acquisire autonomamente. Le lungaggini istruttorie in ambito urbanistico-edilizio costituiscono tuttavia un fattore di criticità spesso portato ad esempio delle difficoltà pratiche connesse all’effettivo utilizzo degli strumenti di semplificazione via via introdotte dal legislatore.
Equilibrio tra privato e amministrazione
Serve un perfetto equilibrio tra il privato che presenta l’istanza e quindi deve cercare di essere il più preciso possibile con la documentazione richiesta e l’amministrazione che deve esaminare i documenti e dare una valutazione esaustiva e trasparente.
Convenzioni
Il passaggio importante della sentenza è questo e parla della convenzione oggetto del ricorso. E’ vero, dicono i giudici, che spesso privato e amministrazioni arrivano ad accordi specifici per il rilascio del permesso di costruire, ma “la convenzione stipulata tra un privato costruttore e un’amministrazione comunale non costituisce un contratto di diritto privato, non avendo specifica autonomia e natura di fonte negoziale del regolamento dei contrapposti interessi delle parti stipulanti, configurandosi piuttosto come atto intermedio del procedimento amministrativo volto al conseguimento del provvedimento finale, dal quale promanano poteri autoritativi della pubblica amministrazione“. Secondo il piano regolatore del Comune finito nel mirino della società, si potevano realizzare i servizi pubblici voluti dalla società, ma solo con specifici parametri e comunque dopo la stipula di una convenzione che prevedesse un vincolo decennale di destinazione d’uso pubblico dell’area. Nel caso analizzato “la necessaria conformità della richiesta del permesso di costruire avanzata dalla Società alla disciplina urbanistica si doveva tradurre prioritariamente nella sigla di un atto bilaterale dai contenuti minimi necessitati, salvo recepire le ulteriori richieste estetiche o funzionali avanzate dall’Amministrazione“. Solo così è possibile analizzare la richiesta del danno.
Il danno da affidamento procedimentale mero
La richiesta di risarcimento chiesta dalla società, per i giudici del consiglio di Stato va inquadrata nell’ambito “danno da affidamento procedimentale mero” che è configurato come ipotesi di responsabilità da contatto sociale qualificato. Il contatto tra privato e Pubblica Amministrazione deve essere inteso come il fatto idoneo a produrre obbligazioni “in conformità dell’ordinamento giuridico dal quale derivano reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione“.
La correttezza dell’amministrazione
I giudici puntano il dito proprio contro l’amministrazione comunale che aveva il dovere di comportarsi secondo correttezza nei rapporti con i cittadini. “La responsabilità scaturente dalla lesione dell’affidamento del privato entrato in relazione con la Pubblica Amministrazione – si legge nella sentenza – va configurata come responsabilità da contatto sociale qualificato. In tale ottica, il contatto tra privato e Pubblica Amministrazione va inteso quale fatto idoneo a produrre obbligazioni con conseguente emersione di reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione“. Qui, invece, dicono i giudici, “si verte nell’ambito di un danno da affidamento procedimentale generato dal comportamento dell’Amministrazione che, unitamente al fattore tempo, ha determinato la legittima aspettativa della Società al rilascio del provvedimento richiesto (e indipendentemente dalla sua effettiva spettanza). Il ritardo con il quale si è addivenuti alla stipula della convenzione, cioè, non assume rilievo risarcitorio autonomo, ma in quanto elemento indicativo e – in qualche misura – costitutivo di tale comportamento affidante“.
La responsabilità da lesione dell’affidamento
I giudici del Consiglio di Stato, però, ai fini della quantificazione del danno, hanno applicato la regola della responsabilità da lesione dell’affidamento, attingendo ai canoni di correttezza e buona fede sanciti dall’art. 1337 del codice civile nel pur diverso ambito della responsabilità di carattere precontrattuale. “L’incolpevole affidamento nel rilascio del permesso, neppure formalmente denegato in via definitiva – si legge nella sentenza – ha comportato un pregiudizio economico regolarmente documentato che non può non essere risarcito quale voce di danno emergente, non potendo invece assumere rilievo il mancato guadagno che sarebbe conseguito alla realizzazione dell’opera. E ciò in quanto, come più volte osservato, non emerge in atti che l’appellante avrebbe senz’altro avuto diritto al rilascio dell’invocato titolo edilizio. Del resto, la sopravvenienza rappresentata dall’adozione – e successiva approvazione – del Piano di bacino ha comportato (e avrebbe comunque comportato, indipendentemente dal contegno del Comune) l’impossibilità di realizzare il progettato intervento“. Il ricorso è stato accolto e la società è stata parzialmente risarcita.