Per l’Agenzia delle Entrate l’attribuzione va fatta pro-quota; la giurisprudenza consente di imputare l’intero importo all’unico locatore, ma è bene non rischiare.
Hai un immobile in comproprietà con il tuo coniuge, o con i tuoi fratelli o genitori. Uno di voi lo affitta, stipulando un regolare contratto di locazione con l’inquilino. È lui ad incassare periodicamente il canone, che poi provvede a ripartire con gli altri comproprietari, oppure a tenere interamente per sé, in base ai vostri rapporti interni. In questi casi di affitto di appartamento cointestato, chi dichiara i redditi?
La legge stabilisce un criterio piuttosto rigido per l’attribuzione di questi «redditi fondiari», che si basa sul criterio della contitolarità del bene in comunione e ripartisce l’importo imponibile in base alla quota percentuale di proprietà di ciascuno. Ma questa regola generale si rivela insufficiente e inadeguata quando è uno solo dei comproprietari ad aver sottoscritto il contratto, come spesso accade.
In tali casi, l’Agenzia delle Entrate pretende che anche gli altri dichiarino pro-quota la loro parte di reddito, ma la giurisprudenza è di parere diverso ed ammette che il reddito possa essere dichiarato interamente da colui che figura come locatore (e che d’altronde è proprio colui che riscuote il canone dal “suo” inquilino). Vediamo quindi come bisogna comportarsi in questi casi per essere in regola e non rischiare.
Indice:
1 L’imputazione dei redditi immobiliari ai comproprietari
2 Contratto di locazione di immobile in comproprietà
3 Dichiarazione redditi di locazione in comproprietà
4 Canoni di locazione: quali comproprietari pagano le tasse?
L’imputazione dei redditi immobiliari ai comproprietari
Il Testo Unico delle Imposte sui Redditi [1] dispone che «nei casi di contitolarità della proprietà o altro diritto reale sull’immobile o di coesistenza di più diritti reali su di esso il reddito fondiario concorre a formare il reddito complessivo di ciascun soggetto per la parte corrispondente al suo diritto». Dunque, la regola generale è chiaramente quella dell’attribuzione del reddito immobiliare in base alla quota di proprietà di ciascuno.
Sviluppando il dettato normativo, l’Agenzia delle Entrate considera dovuta da parte di tutti i comproprietari la rispettiva quota del reddito della locazione immobiliare, che dunque dovrà essere riportata nella dichiarazione dei redditi di ognuno. Infatti, una circolare [2] dice espressamente che: «Nel caso di un immobile in comproprietà, il contratto di locazione stipulato da uno solo dei comproprietari esplica effetti anche nei confronti del comproprietario non presente in atti che, pertanto, è tenuto a dichiarare, ai fini fiscali, il relativo reddito fondiario per la quota a lui imputabile».
L’Agenzia ha ribadito il medesimo principio [3] anche con riferimento alle locazioni brevi cioè quelle di durata non superiore a 30 giorni (e dove succede più spesso che sia uno solo dei proprietari, col tacito consenso degli altri, a stipulare il contratto con i turisti), affermando che «gli altri comproprietari dovranno assoggettare a tassazione il reddito ad essi imputabile pro-quota in sede di dichiarazione applicando la cedolare secca o il regime ordinario di tassazione».
Contratto di locazione di immobile in comproprietà
È opportuno chiarire che la stipula di un contratto di locazione può avvenire validamente anche da parte di uno solo dei comproprietari, che raggiunge l’accordo con l’inquilino e può firmare l’atto supponendo l’assenso tacito degli altri: dunque, il contratto di affitto con un solo comproprietario è valido.
Al momento della registrazione del contratto, l’Agenzia delle Entrate però richiede, nell’apposito modello Rli, di indicare anche gli altri comproprietari che non hanno preso parte alla stipula (vanno indicati i loro codici fiscali spuntando la casella «non presente in atto» per significare che non sono compresi tra i firmatari del contratto che ci si accinge a registrare).
Il motivo della richiesta di tale informazione sta proprio nel fatto che l’Amministrazione opererà un controllo, in genere automatizzato, sulle posizioni fiscali di ciascuno dei comproprietari per verificare che essi dichiarino la porzione del reddito di locazione indicato nel contratto, frazionato in base alla loro rispettiva quota di possesso.
Giovanni è comproprietario di una casa insieme ai suoi due fratelli, in parti uguali, e la affitta ad un inquilino per 500 euro mensili (6.000 euro annui). Soltanto Giovanni firma il contratto come locatore, mentre i fratelli danno l’assenso tacito. Poi, registra il contratto, ogni mese incassa il canone e i fratelli gli concedono di trattenerlo tutto per sé (purché paghi l’Imu e le spese condominiali per tutti). Giovanni vorrebbe dichiarare il 100% del reddito di locazione che percepisce, ma l’Agenzia delle Entrate gli spiega che ciascuno dei tre fratelli deve indicare la sua rispettiva quota imputabile, cioè 1/3, pari a 2.000 euro annui.
Dichiarazione redditi di locazione in comproprietà
La giurisprudenza, al contrario dell’Agenzia delle Entrate, ha ritenuto in alcuni casi che l’unico soggetto obbligato a dichiarare il reddito di locazione sia il comproprietario che ha sottoscritto il contratto con l’inquilino, che è il locatore “effettivo” (e dovrà pagare in base all’importo contrattualmente fissato, a prescindere dal fatto che lo abbia veramente percepito ed incassato, salvo il caso di sfratto intimato per morosità). I rimanenti comproprietari, invece, dovranno pagare l’imposta sui redditi fondiari soltanto in base alla semplice rendita catastale, senza dover considerare il canone di locazione relativo ai contratti ai quali non hanno preso parte.
La Corte di Cassazione [4] in un’occasione ha affermato che non c’è «ostacolo alcuno ad attribuire il reddito derivante dalla concessione in locazione non solo in capo a soggetto del tutto diverso dal legittimo proprietario [5] ma anche in capo ad alcuni soltanto dei comproprietari che risultino essere effettivi locatari e percettori dei redditi che dalla locazione derivano». Questo perché il presupposto impositivo Irpef è costituito in via generale dal «possesso di redditi», salve le eccezioni espressamente stabilite dalla legge, come i redditi dei beni in comunione tra i coniugi, che vengono imputati, nel loro ammontare netto, per metà ciascuno [6].
Aderendo a questa tesi, il comproprietario dell’immobile in comunione, che però è anche l’unico locatore, potrebbe indicare per intero nella propria dichiarazione dei redditi il reddito fondiario derivante dal canone di affitto, a prescindere dalla sua percentuale di possesso, mentre gli altri comproprietari dovrebbero dichiarare la sola rendita catastale, commisurata alla rispettiva quota di proprietà.
Questo orientamento però non è stabile e definitivo, anzi è fortemente contrastato dall’Agenzia delle Entrate, anche se talvolta alcuni giudici tributari lo ribadiscono, come una nuova pronuncia della Commissione Tributaria Regionale del Lazio [7], che ha riaffermato la regola dell’attribuzione esclusiva dei redditi al comproprietario che figura come unico locatore.
Secondo i giudici tributari, i redditi fondiari sono indubbiamente soggetti alla disposizione di legge che abbiamo menzionato [1] ma tale norma «pur prevedendo come regola, che il reddito sia attribuito secondo la contitolarità del bene, tuttavia dà rilievo al possesso del bene sicché nel caso in cui la situazione di possesso sia diversa dalla formale titolarità, i redditi vanno attribuiti secondo tale diverso criterio». Nel caso esaminato, era risultato che la contribuente aveva dato «in via esclusiva» in locazione l’immobile e, perciò, a giudizio del Collegio, anche «il reddito che da esso deriva le va attribuito in via esclusiva».
Canoni di locazione: quali comproprietari pagano le tasse?
Vista la grossa divergenza tra la tesi del Fisco e quella della giurisprudenza tributaria, che ancora non è unanime e consolidata, è consigliabile prestare una certa cautela, perché alcuni giudici potrebbero pensarla diversamente e discostarsi dall’orientamento che consente l’attribuzione esclusiva del reddito al comproprietario che è unico locatore. Per stare sicuri e prevenire le probabili contestazioni dell’Agenzia delle Entrate, è preferibile che il canone di locazione venga dichiarato pro-quota da tutti i comproprietari, anche quando il contratto di affitto è intestato ad uno solo di essi.
Oltretutto, la posizione della Cassazione che abbiamo citato [4] non chiarisce cosa succede quando i redditi dei vari comproprietari sono differenti: infatti, il reddito fondiario concorre a formare il reddito complessivo di ciascun contribuente, cumulandosi con gli altri (da lavoro dipendente, d’impresa, di capitali, ecc.) e da qui si determinano gli scaglioni e le conseguenti aliquote d’imposta, salva l’applicazione della cedolare secca sugli affitti, che stabilisce una percentuale fissa (al 21% o, se agevolata, al 10%) e comunque rimane un’opzione di ciascun comproprietario indipendentemente dagli altri.
Se qualcuno non aderisce alla cedolare secca, consentire ad un solo comproprietario di dichiarare l’intero reddito fondiario derivante dalla locazione potrebbe creare un’ingiustificata disparità di trattamento fiscale, se egli avesse redditi complessivi bassi e tali da comportare un’aliquota minore degli altri; l’Agenzia delle Entrate sarebbe legittimata a richiedere a costoro il versamento della differenza “risparmiata”.
Applicando la regola dell’attribuzione del reddito fondiario pro-quota, che si aggiunge alla base imponibile di ciascuno e determina l’imposta da versare in base al cumulo dei redditi annui, l’imposta dovuta potrebbe essere più alta. In sostanza, il Fisco può riprendere a tassazione la parte di canone imputabile a ciascun comproprietario anche se la relativa imposta era già stata versata da uno solo di essi.
In ogni caso, a non dichiarare il reddito di locazione pro-quota, riportandolo in dichiarazione tra i redditi fondiari, ci si espone quasi sicuramente ad un contenzioso con l’Agenzia delle Entrate: bisognerà opporsi all’avviso di liquidazione dell’imposta e di accertamento esecutivo, richiamando nel ricorso le pronunce che abbiamo menzionato. Ma l’esito favorevole del giudizio tributario di impugnazione dell’atto impositivo non è affatto scontato ed, anzi, l’interpretazione del contribuente che sostiene l’attribuzione esclusiva e per intero del reddito all’unico comproprietario che ha stipulato il contratto di affitto potrebbe scontrarsi col dettato normativo che, come abbiamo visto, prevede in maniera abbastanza chiara la regola secondo cui il reddito derivante dai canoni di locazione concorre a formare il reddito fondiario di ciascun soggetto per la parte corrispondente al suo diritto di proprietà.
Note:
[1] Art. 26, comma 2, D.P.R. n. 917/1986.
[2] Agenzia Entrate, Circ. n. 20/E/2012 del 04.06.2012.
[3] Agenzia Entrate, Circ. n. 24/E/2017 del 12.10.2017.
[4] Cass. sent. n. 3085 del 17.02.2016.
[5] Cass. sent. n. 19166 del 15.12.2003.
[6] Art. 4, comma 1, D.P.R. n. 917/1986.
[7] Ctr Lazio, Sez. 11°, sent. n. 1760/21.