Le aperture sono nuove opere e devono rispettare le norme civilistiche, urbanistiche ed edilizie. Come regolarsi se le costruzioni sono troppo vicine?
Molte liti tra vicini sorgono quando uno dei due confinanti decide di aprire sulla propria facciata una finestra, una porta, una parete vetrata, una veranda o un altro tipo di veduta verso l’esterno. Il titolo edilizio rilasciato dal Comune al richiedente, pur necessario, spesso non basta a dirimere le controversie che riguardano l’aspetto civile dei rapporti di vicinato tra privati.
La legge si preoccupa di disciplinare anche questi aspetti. Qual è il limite delle distanze tra costruzioni con finestre? L’apertura di una nuova finestra – vedrai tra poco che questo termine deve intendersi in senso ampio – è un nuovo elemento rispetto alla costruzione originaria e soggiace a precise regole di distanza minima dagli edifici antistanti.
Le norme cambiano a seconda della zona in cui i fabbricati si trovano (i centri storici hanno regole particolari) e se sono divisi o meno da una strada. Per capire cosa si può e si deve fare occorre sempre tener presenti le leggi e i regolamenti in materia urbanistica ed edilizia, non solo le disposizioni generali previste dal Codice civile. Intanto, a volte, è lo stesso concetto di “finestra” a non essere chiaro: partiamo proprio da qui per capire cosa si intende, ed arrivare poi ad esaminare il limite di distanza tra costruzioni con finestre.
Indice:
1 Finestre, luci e vedute: cosa si intende
2 Quali distanze per aprire luci o vedute
3 Distanza per apertura nuove finestre
4 Deroghe ai limiti di distanza minima
5 Distanza tra edifici con finestre: come si calcola.
Finestre, luci e vedute: cosa si intende
Quelle che nel linguaggio comune chiamiamo con l’unico nome di finestre sono definite dal Codice civile in due diverse categorie: luci e vedute. Le luci sono le aperture nei muri che fanno passare aria e luce, ma non consentono l’affaccio. Le vedute, invece, permettono di affacciarsi e, dunque, di guardare in direzione della proprietà del vicino.
Quindi, una normale finestra rientra tra le vedute, così come un balcone o un terrazzo dotato di ringhiera o di parapetto. Una piccola apertura munita di inferriata con griglie a maglie strette (come quelle che si trovano nella parte superiore dei box o garage seminterrati) è, invece, una luce.
Quali distanze per aprire luci o vedute
Il Codice civile [1] stabilisce una distanza di almeno tre metri tra le costruzioni ed il limite minimo di un metro e mezzo per l’apertura di luci o di vedute dirette sul fondo del vicino, a meno che tra le due proprietà non vi sia una via pubblica. I regolamenti comunali possono prevedere distanze maggiori.
Ma queste regole non sono sufficienti per risolvere la questione: la normativa amministrativa, e specialmente quella edilizia e urbanistica, prevede il rispetto di distanze maggiori, che ora ti indicheremo. Infatti, le norme sulle distanze tra le costruzioni hanno lo scopo di evitare la creazione di intercapedini troppo strette e dunque insalubri. Perciò, se ti attieni solo alle distanze previste dal Codice civile potresti avere problemi per abuso edilizio anche se il tuo vicino non si lamenta.
Distanza per apertura nuove finestre
Un importante Decreto ministeriale [2] fissa a dieci metri il limite di distanza minima dai fabbricati antistanti per l’apertura di nuove finestre su muri e pareti esterne, per tutti gli edifici situati in zone urbanistiche diverse dalla “A” (che comprende gli agglomerati urbani di interesse storico, artistico o ambientale, come i centri storici). Se tra i fabbricati è interposta una via, la distanza deve essere pari alla larghezza stradale con una maggiorazione:
di 5 metri per lato per le strade aventi larghezza inferiore a 7 metri;
di 7,50 metri per lato per le strade di larghezza compresa tra 7 e 15 metri;
di 10 metri per lato per le strade di larghezza superiore.
Deroghe ai limiti di distanza minima
Il recente Decreto “Sblocca cantieri” ha stabilito la facoltà per le Regioni di derogare a questi limiti di distanza, con propri provvedimenti. Intanto, la ricostruzione è già consentita «nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell’area di sedime e del volume dell’edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell’altezza massima di quest’ultimo».
Questa possibilità di deroga ai limiti di distanza tra fabbricati era già stata introdotta nel Testo Unico dell’Edilizia [4] «in ogni caso di intervento che preveda la demolizione e ricostruzione di edifici» e sempre entro i limiti delle distanze legittimamente preesistenti, ma con possibilità di realizzare anche «ampliamenti fuori sagoma».
Distanza tra edifici con finestre: come si calcola
Una nuova sentenza del Tar [5] nel decidere un caso di una «veranda in ampliamento», realizzata in ricostruzione e che violava la distanza minima, ha affermato che ai fini delle distanze tra fabbricati rientrano nella nozione di «pareti finestrate» tutte quelle dotate di apertura verso l’esterno, perciò non solamente quelle munite di vedute.
Il Consiglio di Stato [6] ha precisato che la distanza di dieci metri «va rispettata per tutte le pareti che presentano aperture di qualsiasi genere verso l’esterno, comprese le finestre di ogni tipo (siano esse vedute o luci) dato che lo scopo della norma è quello di impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario».
Quanto al quesito se ai fini del calcolo delle distanze gli edifici debbano essere prospicenti, la pronuncia del Tar Lombardia, analogamente a quanto già affermato dal Consiglio di Stato [7], chiarisce che «la distanza di dieci metri tra pareti finestrate di edifici antistanti va calcolata con riferimento a ogni punto dei fabbricati e non solo alle parti che si fronteggiano e a tutte le pareti finestrate e non solo a quella principale, prescindendo anche dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela». Perciò, gli edifici potrebbero anche essere obliqui l’uno rispetto all’altro ma rimane comunque ineludibile il limite dei dieci metri di distanza minima.
Note:
[1] Art. 905 Cod. civ.
[2] Art. 9 D.M. n. 1444/1968.
[3] Art. 5 D.L. n. 32/2019.
[4] Art. 2 bis D.P.R. n. 380/2001.
[5] Tar Lombardia, Sez. Brescia, sent. n. 319/21 del 06.04.2021.
[6] Cons. St. sent. n. 6136/2019.
[7] Cons. St. sent. n. 7731/2010.